"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

29 maggio 2010

noi ci si trova a Napoli


Noi ci si trova a Napoli stasera.
A fine marzo, sempre a Napoli, questo blog era nato, tra una gita a Jeranto e una spesa al mercato.
Questa volta non so cosa il comitato organizzatore abbia in mente.  Abbiamo un amico degli isterici che non ci è mai stato, gli dobbiamo mostrare la Certosa di San Martino, il Cristo velato e tutto ciò che serve. 
 Gli interesserà anche il Madre, museo in cui torno anche io sempre volentieri. 

Insomma, vedremo.
A me basta sapere che vedrò il mare e che ci sarà luce. 
Vi racconteremo mercoledì, al ritorno, cosa si sarà visto cucinato annusato.
Di lato potete ammirare ViPeron nella sua versione "design victim" in una pausa del FuoriSalone (dove sono state scattate anche le altre foto) in aprile, con ginocchiera d'ordinanza.
A presto!
(PoveraPazza)

27 maggio 2010

cencio di farro con sorpresa


......

Uno dei miei livres de chevet di questa primavera è Diario di un cuoco di Pietro Leeman. Ho già proposto alcuni suoi piatti, semplici,  che lui dice di cucinare per la sua famiglia.
Questa volta è toccato a un cencetto di farro con un leggerissimo ripieno di verdure. Davvero molto  carino da presentare.
Ho seguito la sua ricetta, con piccole variazioni. La mia versione è quella che leggerete avanti.

Serviranno: 100 gr di farina 00 e 100 gr di farina di farro integrale, olio d'oliva, un mazzetto piccolo di asparagi verdi mondati, 200 gr di yougurt intero, una decina di pomodori ciliegia, zeste di limone tritate finemente, timo fresco, sale.
Impastare le due farine con un dl d'acqua circa, 25gr di olio d'oliva e un generoso pizzico di sale.
Lasciare riposare la pasta per trenta minuti.
Sbollentare gli asparagi in acqua bollente salata per quattro minuti. Scolarli e raffreddarli subito in acqua fredda. Tagliarli a pezzetti, condirli con sale, pepe, le zeste di limone, olio d'oliva e timo.
Tagliare a cubetti i pomodori (privandoli dei semi, a voler essere precisi-- io non l'ho fatto) e unirli agli asparagi.
Stendere la pasta con il mattarello, ricavandone quattro cerchi abbastanza sottili, al centro dei quali si porrà il ripieno di verdure. Chiudere a cencio, appunto, schiacciando bene con le dita alla strozzatura.
Attenzione, più si schiaccia e meglio cuoce questo punto critico, altrimenti resta un pò crudino.
Spennellare i cencetti con uovo sbattuto e cuocere in forno a 180° per una ventina di minuti .
Servire con lo yogurt alla paprika di cui ho già parlato qui.

Il ripieno, se avanza, sarà un'ottima insalata. 
In questa ricetta ci sono tre spunti interessanti: il cencio, il ripieno crudo-cotto e il dip yogurtoso che potranno essere replicati separatamente.
Una ricetta-da-bravo-foodblogger!

Lunedì è stata per noi "isterici" una giornata speciale. Ci siamo trovati tutti e quattro online e ciascuno aveva preparato un post! Abbiamo passato ore a rimbalzarci i commenti da un capo all'altro dell'Italia. Ridendo da matti. Come avrà capito chi ci ha letto qualche volta, noi cuciniamo sì. Ma il nostro vero gusto è la schermaglia verbale, la presa in giro garbata.
Qui a Hysteria Lane ci piace essere lievi, speriamo di riuscirci.
(PoveraPazza)

24 maggio 2010

cronache da un fallimento
















chapter one: L'origine dell'universo




"Terra e Cielo, [..] due piani sovrapposti un pavimento ed una volta, un sotto ed un sopra che si coprono a vicenda, completamente".



Il Cielo stesso è partorito da Gaia, la madreTerra. Cielo nasce dalle profondità oscure della Terra collegate ancora a Voragine, il Chaos primordiale.
Terra e Cielo si coprono a vicenda come due conigli, coniglio e coniglia in una gabbietta putrida di un allevamento nella Pianura Padana.
Da questo doppio, simmetrico, fotocopia ad incastro di due frammenti di un gigantesco Ravensburger, nasce una prole numerosa costretta nel ventre stesso di Gaia fino a che la castrazione di Urano, il coniglio maschio, ad opera di Chrono, crea quello spazio vitale necessario tra terra e cielo per Titani, Titanidi, Centobraccia e compagnia bella.
Alcuni di questi esseri, sono esseri ctoni cioè esseri legati all'aspetto più oscuro e notturno della Madre Terra, il peggiore di tutti è: CUMINO



chapter two: Cumino storia di 

Cumino, creatura ctonia per eccellenza, nasce da Gaia  e da Fieto. Da piccolo, col suo corpo esile e la chioma bianca, viveva nei campi, ma, già in età matura, Cumino mutò in un essere marroncino dalla strana chioma con escrescenze durette. Chi lo incontrò in questa fase, non riconoscendolo, individuò una grave minaccia ed al suono di "maròcheèstucosochefieto"lo schiaccio e triturò in una polvere fina. 



chapter three: L'epifania

Gli dei, quando si manifestano a noi comuni mortali, ci riducono ad un mucchietto di polvere da tirare via con una passata di swiffer. Cumino scelse un modo diverso di manifestarsi: si sentiva nell'aria. Ancora oggi  si avverte la sua presenza non con la vista ma con l'olfatto. [Immagino e sospetto che Cumino è presente accanto a me quando mi trovo nella stessa stanza in cui si trova L. verso le 17.30 18.00].



chapeter three: Il danno

A volte Cumino, memore della brutta esperienza vissuta nei campi, ama nascondersi nei posti più assurdi. Ad esempio, l'ultima volta che l'ho incontrato, era in una lista di ingredienti di un piatto pseudovegetarianosalutista, [uno di quelli utili a ridurre il girovita ed il colesterolo resistente anche agli steroli vegetali]. 
Dire che tutto sembrava innocuo, forse l'unico che avevo guardato con un po' di sospetto era fior di latte, così pallido e grasso sembrava nascondere delle insidie che minavano i miei intenti di  sciogliere la panza. Mi fidavo di tutti Melanzana, Spinacio, Basilico, Fungo.... che dire poi di Olio, Sale, Cipolla o Pomodoro. 


Cominciai col tritare garbatamente  Fungo e poi a fare a cubetti Melanzana, nessuno dei due oppose resistenza, anche Pomodoro,(con Olio, Aglio, Cipolla e Basilico) non ebbe alcuna reazione degna di nota.
Tutto filava liscio anche quando, in un'altra pentola, feci scivolare con Olio i due fidi Melanzana e Fungo (impietosamente ridotti nelle condizioni a cui ho prima accennato) feci seguire l'uno all'altro ad una distanza di due o tre minuti, dopo altri tre minuti Spinacio e ad un certo punto 

.......................................................................................................................................
Cumino
.......................................................................................................................................
Mi volto di scatto convinto che alle mie spalle si è materializzato L. invece no... sono solo anzi c'è solo il gatto che sonnecchia indifferente. Il danno è compiuto.
Dopo cinque minuti costringo tutti, a forza, ad entrare in dei tubi di pasta si semola, meglio noti come Cannelloni, nella speranza che Cumino possa far sentire meno la sua presenza.

Ma niente .... perdura..

Metto i Cannelloni in fila, in un unico strato e  poi li coloro con una copiosa ed umida pennellata del liquido rosso, frutto della consunzione di Pomodoro Aglio Cipolla e Basilico, Uno spesso e calorico velo di Fiordilatte copre tutto come un sudario e per 30 minuti restano in un ambiente angusto ma con una ampia superficie vetrata a circa 200°, così Cumino  oppure L. dovrebbero sparire.
Ma niente .... perdura..
: (



Cannelloni Vegetariani - Amedo Bolinari

Studio critico paranoico sul baccalà alla vicentina

Sono al mio terzo tentativo con il baccalà alla vicentina. La Povera Pazza mi perdonerà se non posso accoppiare la ricetta a nessuna esotica saudade o nordica 'pucundria'.
Il primo tentativo è stato perfettamente in linea con i buoni propositi di questo blog, l'orlo della crisci di nervi è stato abbondantemente valicato.
La provvista di baccalà per la bisogna era stata fatta nella capitale campana. Baccalà salato. Bei filettoni bianchi sottosale. Operazione propedeutica alla cottura e' la 'spugnatura' (che naturalmente non è una operazione da beauty farm).
Bene, in quell'occasione la spugnatura (immersione generosa in acqua e ricambio frequente) è durata meno di 48 ore. Troppo poco. Purtroppo la scoperta è stata fatta a piatto servito.

Saprai si come sa di sale ....diceva padre Dante. Il prodotto finito era probabilmente commestibile solo per le capre. Come fare una libagione con le acque del Mar Morto. I poveri ospiti con sforzo eroico se lo sono pure mangiato. Che dimostrazione di affetto e che sbalzo di pressione.
La seconda volta, i neuroni memori della salata esperienza, mi hanno accompagnato ad una spugnatura più prolungata. Sulla preparazione si dirà dopo. Il risultato gradevole al palato. Le carni morbide. L'ospite ha saltato l'occasione per una medaglia al valore.

Rimane tuttavia il rovello. Il baccalà salato sarà la materia prima giusta? Ovviamente no. Ci vuole il baccalà secco, lo stoccafisso. Finalmente ho capito la differenza trai due e mi potrò concentrare in futuro nella memorizzazione dei nomi che designano le sue parti (mussillo, coroniello et etc ... campare a Napoli richiede fatiche aggiuntive, è ben noto). Insomma, uno non può certo vivere con il rovello di non aver centrato la nuance giusta del baccalà alla vicentina.


La terza volta. A Natale nel profondo Nord Est compero uno di quei cadaveri secchi secchi. Lungo tre quarti di metro, affusolato, come la coscia secca dell'uomo di Similaun.
Altra caratteristica tecnica.... puzza come una carogna.
Torno a Napoli con il caro estinto in valigia. Questa volta sono sicuro. Voglio proprio vedere chi si azzarda all'aeroporto ad aprirmi la valigia per frugarci dentro. Brevetto l'antifurto?
La salma rimane nello sgabuzzino (luogo secco e asciutto) finché non mi ritorna l'estro delle spugnature. Questa volta la spugnatura deve durare almeno tre gironi. Dove lo metto? In vasca da bagno? No, lo spezzo in tre parti e dissemino di caccavelle la cucina.
Per quattro giorni la casa è soffocata da un puzzo stagnante (piove anche e non si può aprire). Arriva il dì fatale.

La ricetta è quella della Venerabile confraternita del Baccalà alla Vicentina (come dire, non prendiamoci troppo sul serio).

Essa recita (per dodici persone)
Kg. 1 di stoccafisso secco
500 g cipolle
1 litro di olio di oliva extra – vergine
3-4 acciughe
mezzo litro di latte intero
farina bianca
50 g grana grattugiato
un ciuffo di prezzemolo tritato
sale e pepe
Preparazione. Lo stoccafisso ammollato deve essere deliscato, privato della pelle (operazione sorprendentemente semplice) e ridotto a pezzi non grandi.
A parte, in un tegame si prepara un soffritto con la cipolla tagliata fine, un bicchiere d'olio, le acciughe dissalate e private della lisca. Spegnere il fuoco quando la cipolla è ben appassita. Unire il prezzemolo.

Infarinare i pezzi di stoccafisso. In una pentola di coccio capiente versare uno strato di soffritto. Stendere uno strato di stoccafisso. Poi ancora soffritto, e così via. Aggiungere sale e pepe e il latte.
Aggiungere l'olio fino a ricoprire tutto (se vi devo dire il vero ho usato 'solo' mezzo litro d'olio e ho abbondato di latte). Il grana non l'ho messo perché l'idea mi ripugnava.

Cottura lenta, a fuoco praticamente spento per 4-5 ore (l'ideale se esci dall'ufficio alle 20)

Appena iniziata la cottura arriva Amedeo Bolinari, primo ospite della serata. Al suo ingresso commenta lo stato di avanzamento della cottura con una variante del suo mantra ('che è stu coso, che fieto'). La variante per l'occasione (visto che sapeva già di cosa si trattava): che fieto, pare un latranario'. Ora, non so se pecco di un eccesso di sensibilità ma il commento non rientra nella top ten delle frasi con cui amo farmi blandire mentre sto cucinando.


Ho accompagnato il baccalà con polenta bianca, che nel profondo nord est in tempi remoti accompagnava il desinare nei di' di festa (la gialla meno pregiata durante la settimana).

Da un esame comparativo devo dire che forse preferisco la release numero due (baccala' salato) alla numero tre (stoccafisso).

I filologi non me ne vogliano.

ViPeron

Il brunch dell'età dell'oro: lox and cream cheese bagel

Attraversiamo tutti un'età dell'oro. O multiple età dell'oro, se siamo molto fortunati. O molto entusiasti. Queste parentesi di beatitudine possono protrarsi per anni, consumarsi in una sola stagione o bruciare intensamente in pochi giorni. A prescindere dalla loro durata, ne conserviamo per sempre la vertigine e la pienezza delle emozioni. Vi associamo oggetti, città, vestiti,amori, mode e ... sapori.

Per quanto mi riguarda, non c'è niente di più evocativo di un sapore: un assaggio può essere un flash, un virtuale lampo al magnesio che mi proietta istantaneamente sul viale del ricordo. Quelli che hanno amato la scena del film Ratatouille, in cui il terribile critico assaggia la pietanza del titolo - divinamente confezionata dalla pantegana - e rivive la gioia e l'estasi dell'infanzia, sanno di cosa vado vaneggiando.

Flash. Berkeley, California. Primi anni Novanta. La scena e il tempo della mia età dell’oro. La sensazione di vivere nel posto perfetto, di frequentare persone perfette, di avere il lavoro perfetto. E come se non bastasse, il privilegio di abitare un one-bedroom apartment (con tanto di sun deck con vista mozzafiato sul Golden Gate) sito nel magico quadrato di pochi isolati noto ai più come il Gourmet’s Ghetto, sulle colline di North Berkeley. 

 
Per intenderci, è qui che Alice Waters ha aperto il suo Chez Panisse, il ristorante che ha segnato una svolta epocale nella percezione e nella fruizione del cibo sulla West Coast americana (prima) e nel resto del paese (poi). È qui che Peet’s Coffee ha avviato gli americani, tradizionali bevitori di orribile morchia, al culto del caffè, un trentennio prima della banalizzazione operata dall’avvento degli onnipresenti Starbucks Coffee. È qui che Cha-Am mi ha servito il miglior cibo Thai mai assaggiato. Infine, è qui che Saul’s Deli, un Deli Cafè che interpreta magistralmente la tradizione culinaria giudaico-americana, mi accoglieva spesso le domeniche, in compagnia della mia inseparabile amica Jewish-Italian Nina, a declinare il rito del brunch.

Mi rendo conto che, come ogni vecchio rimbambito che borbotta di antichi fasti, sto divagando. Vengo al sodo. Approfittando del weekend e dell'insano furor panificatoris che impazza qui a Hysteria Lane, mi sono procacciato un flash gustativo difficilmente esperibile altrimenti alle mie attuali coordinate geografiche: ho organizzato uno Jewish brunch a base di bagel! Per chi non lo sapesse, il bagel è un prodotto da forno di origine ebraico-americana, oramai diffusissimo in tutti i paesi di lingua anglosassone e stranamente latitante nel nostro paese. La forma toroidale ricorda quella del nostrano tarallo ma la similitudine finisce qui. Grazie alla rapida bollitura antecedente alla cottura in forno, la consistenza del bagel è gommosa e la pasta interna è morbida, compatta, leggermente umida e profumata. Esternamente, il bagel può essere plain, oppure ricoperto di ogni semenza commestibile che possiate immaginare. Molto popolari sono i bagel ai semi di papavero o di sesamo. Un piatto canonico di un brunch in un Jewish Deli Cafè è  un bel bagel tostato accompagnato da cream cheese (opzionalmente guarnito di aneto fresco) e lox, che altro non è che salmone affumicato. Completa il piatto un bel cipollotto crudo. 

Ma passiamo alla realizzazione. La ricetta tradizionale per i bagel prevede una lievitatura lunghissima (almeno 18 ore) a bassa temperatura: tipicamente, si preparava l’impasto prima del Sabbath e si completava la preparazione alla fine del periodo di astensione dal lavoro manuale. Si ottengono comunque ottimi risultati in tempi molto più ragionevoli utilizzando il lievito di birra disidratato. Per le dosi e la modalità di preparazione, potete seguire le indicazioni dellottima Sigrid: non ha senso quindi che le replichi qui. Come note a margine della pur valida ricetta, consiglio vivamente l’uso di una farina di forza (una Manitoba andrà benissimo) e di allungare un po’ i tempi di lievitazione (portando a due ore la prima lievitazione e a un’ora la seconda). Inoltre, aggiungete all’acqua di bollitura un cucchiaino di bicarbonato di sodio, oltre che lo zucchero, per aumentare la consistenza gommosa tipica del bagel. Come copertura, ho usato semi di papavero, di sesamo e di girasole. 


Prima di servirlo, il bagel va tagliato in due parallelamente alla sua base e tostato velocemente al grill o in un toastapane. Per il cream cheese, in mancanza di prodotti artigianali, difficilmente reperibili in Italia, utilizzate il Philadelphia. Un buon salmone norvegese completa la composizione. Si spalma il cream cheese sul bagel, si aggiunge il salmone, un po’ di cipollotto, si addenta e….. flash!



P.S. E’ pleonastico aggiungere che un lox and cream cheese bagel, accompagnato da qualche cetriolino in agrodolce, ben si addice alla schiscEtta chic di PoveraPazza!


(GeppetNo)

aloo paratha approssimata (con rima baciata)




Vi avviso, sono entrata in modalità estiva. Vuol dire: cibi semplici, semplicissimi, crudi o poco cotti, leggeri, fatti di o serviti con verdura.
Paola qualche giorno fa ribattezzava il mio post sul pranzo leggero "ricEtta schiscEtta": da qui è nato un tag con lo stesso nome e molte idee per riempire schiscetta e stomaco senza dormirci su per le seguenti due ore.
Problema: avendo comprato diversi tipi di farina, avendo eccezionalmente trovato il coriandolo fresco, ed essendo in possesso anche di yogurt e cumino, cosa si prepara per pranzo?
Soluzione: aloo paratha approssimata!
Non troppo speziata, neutra abbastanza da accompagnare altri piatti senza sovrastarli ma giustamente aromatica.
Serviranno: 200gr di farina 00, 100 gr di farina integrale, semi di cumino, 200 gr di patate, coriandolo fresco, scalogno, una costa di sedano, sale, olio d'oliva.
Impastare le farine con un pizzico di sale, un filo d'olio d'oliva e acqua sufficiente a formare un impasto morbido (in India dicono il 55% del peso della farina - 16 ml in questo caso). 
Lasciare riposare per mezz'ora.
Nel frattempo lessare le patate sbucciate in acqua salata con i semi di cumino, poi schiacciarle con un forchetta mentre sono ancora calde.
Tritare il sedano e lo scalogno (ne ho usati due) e stufarli a fuoco dolce con un filo d'olio, insieme a una spolverata di semi di cumino. Aggiungere le patate schiacciate e il coriandolo tritato. Aggiustare di olio e sale.
Riprendere l'impasto e dividerlo in otto palline uguali. Tirarle con il mattarello per ottenere delle sfoglie tonde e abbastanza sottili. Sulla metà di ogni sfoglia porre qualche cucchiaino di ripieno. Chiudere come per fare un calzone, premendo con le dita sui bordi.
Oliare una padella antiaderente e far colorire da entrambi i lati i pani. Passarli in forno caldo (180°) per altri cinque minuti (volendo è un passaggio che si può saltare)

Servire con yogurt montato al minipimer con olio, sale e paprika o altre spezie a piacere.
Deliziose anche da sole, sono perfette per accompagnare intingoli sugosi (che vedrete in qualche puntata successiva).  
(PoveraPazza)

21 maggio 2010

ogni promessa è debito - pranzo leggero per Amedeo

Qualche giorno fa Amedeo Bolinari vaneggiava di sale iposodico, seitan alla piastra e un filo d'olio.
La pausa pranzo lo aveva stroncato, poverino. Gli ho promesso l'idea per un pranzo leggero e questo è il risultato.
Oddio, la foto sul Mac mi pareva venuta meglio, ma questa ho.
Dunque tonno e piselli in una versione un pò più sofisticata della solita scatoletta+scatoletta.
Piselli freschi con un'idea di cipollotto, sempre fresco, un filo d'olio e un pò d'acqua se necessario per portarli a cottura. Pochissimo sale. Timo fresco.
Un bel trancio di tonno fresco, alto due dita, passato nel sesamo e cotto sulla padella antiaderente senza aggiunta di grassi. Una spolverata di sale di Cipro e pepe nero, un filo d'olio extravergine e il pranzo è servito.
Un bel "ripieno" per la schiscetta . Forse persino dietetico. Forse.

17 maggio 2010

Saudade - Baccalà alla moda di Lisbona


Con la pioggia vorrei emigrare, con il sole vorrei andare in vacanza.
Sono affetta da acuto nomadismo ma lo metto in pratica solo di rado, quando posso. E posso molto meno di quanto vorrei.

Ho diversi luoghi del cuore. Alcuni sono passioni fugaci, altri amori persistenti. Lisbona appartiene a questa categoria. La trovo adorabile, ci vorrei vivere.  La sua bellezza dimessa e struggente ti cattura dal primo momento.
(...)Alfama è un animale mitologico. Pretesto per sentimentalismi di vario colore, sardina che molti hanno voluto mettere sulle proprie braci, non sbarra il cammino a chi vi entra, ma il viaggiatore sente che l'accompagnano sguardi ironici.
(...) Animale mitologico per conto altrui, Alfama vive il proprio difficile conto. Ci sono ore in cui è un animale sano, altre in cui si accuccia in un angolo a leccarsi le ferite che secoli di povertà gli hanno provocato sulla carne e che non trova il modo di curare. (...) Josè Saramago - Viaggio in Portogallo



Prima di andare a Lisbona non avevo mai assaggiato il baccalà, ed ora è legato indissolubilmente alle sensazioni che ho provato in quei luoghi, come sempre mi accade con profumi e cibi "altri".
E come sempre mi accade in tempi di acuta malinconia, replico ossessivamente (mai nome d'arte fu più azzeccato del mio) i cibi per dilatare i ricordi.

Hi! Quante storie per una ricetta di pesce salato (che nelle ultime settimane ho già rifatto un paio di volte)--


Serviranno, per quattro persone:
2 filetti di baccalà , 4 grossi pomodori maturi, 2 cipolle (questa volta di Tropea), 4 patate grandi, 1 cucchiaino di paprika, alloro, prezzemolo, aglio, olio, pepe, sale.
Lavare i filetti di baccalà, poi lasciarli a bagno in acqua fredda - rinnovata spesso - per almeno 24 ore.
Scolare il pesce, asciugarlo (altrimenti fa troppa acqua) e lavare le spine eventuali con l'apposita pinzetta. Tagliare patate, cipolle e pomodori a fette.

In una pentola dal fondo spesso e dalle pareti abbastanza alte alternare gli ingredienti, cominciando dai pomodori, poi patate, cipolle, aglio e baccalà con la pelle verso il basso. Salare con molta moderazione e solo lo strato di patate.
Proseguire fino all'esaurimento e finire con uno strato di patate.
Cospargere di paprika dolce e irrorare con olio d'oliva.  Legare il prezzemolo e l'alloro e unire alla preparazione. Far cuocere a fuoco medio-basso, coperto, fino a quando le patate saranno tenere.
Saranno necessari almeno 30-40 minuti. Attenzione a non alzare troppo la fiamma, il primo strato potrebbe bruciarsi compromettendo tutta la preparazione.
Servire subito, ben caldo.

E prossimamente: pasteis de bacalhau, buonissimi anche freddi - per quando arriverà l'estate.

(Povera Pazza)

15 maggio 2010

pausa pranzo




Ca... Capperi ma il volume è troppo alto. Parlano di calcio in tv ed il volume è altissimo. Sto appollaiato su un trespolo in prossimità della porta, questo posto è sempre pieno di guardie giurate, impiegati dall'incerto futuro e nullafacenti affaccendati. Le voci dei clienti lottano col volume del televisore sparato nell'impianto di amplificazione.
E' in momenti come questi che mi sembra che la mia vita debba ancora cominciare... come se stessi tenendo il posto per un altro. Alla  fine il risulatato è che  mi sento completamente dissociato da quel che mi circonda:

scena 1: sto seduto su uno sgabello, gli occhi socchiusi, guardo fuori
scena 2: sto in piedi, appoggiato al paraspigolo di metallo temendo che una scarica elettrica vagante mi fulmini
scena 3: sto col gomito appoggiato alla mensola, scarico il peso del mio corpo su quel pezzo di pelle che scrocchia sotto l'ossso.

Il corpo sta seduto, oppure appoggiato, oppure non so dove... la mente, invece, è a mezz'aria, grosso modo all'altezza del fancoil ed osserva me, di sotto, con un certo distacco ed alterigia.
Intanto evito accuratamente di incrociare lo sguardo dei presenti, temo di essere coinvolto nella discussione imperniata su qualcosa, che, qualcuno ha fatto a non so chi, in... non so quale campo di gioco. 
Ho finito di mangiare, ma sento che il timballo di pasta è rimasto incolonnato lungo l'esofago.Ho urgente bisogno di acqua quindi rivolgo, incautamente, lo sguardo verso C.  ma la distrazione mi è fatale:

C. : "Ma tua hai visto? quando uno colpisce così è proprio pecchè vo fà male!
Io: mmh , ma chi?
C. Totti!
Io: cosa è successo?
C.: ma tu non segui 'o pallone
Io: no... non me maj piaciuto [alzo il tono della voce, per superare il volume della tv, ma mi esce una voce stridula che mi procura un bruciore alla faringe]
C.: tanto l'avevo capito

Fisso il fondo oscuro dei miei pensieri e comincia un dialogo interiore mi domando: che vuol dire, "tanto l'avevo capito", ma, la mia voce reale, sonora dice: quant'è? ..... Troppo tardi per chiedere l'acqua.

Misuro la mia sete; quanta sete ho? ... Tanta!
Estatico, guardo sul marciapiede di fronte un gabbiano enorme. La bestia cammina spavalda ed incurante delle sue dimensioni, soprattutto non si cura del suo esser così fuori luogo. [Da tempo in questa città i gabbiani si sono piccionizzati, spesso camminano per strada come se fossero dei piccioni ipertrofici.]
Guardando il gabbiano ripenso senza ragione a Totti e mi dico: mò che torno in ufficio controllo in internet cosa è successo.
Intanto vado verso il baretto ... lì col caffè mi daranno sicuramente un po' d'acqua.

Da Lunedì mangerò più leggero: Seitan sale iposodico ed un filo d'olio
_amedeo bolinari_

14 maggio 2010

occhi di triglia per le trofie

Non dirò che c'è un tempo infame, non dirò che di sera fa freddo come ad ottobre, non dirò che ieri pioveva a secchi, non dirò che se non vedo il sole almeno per qualche ora dovrò andarlo a cercare dove c'è, emigrando.
In attesa che succeda, mi sono fabbricata un pezzetto di Cinque Terre (la mia personale declinazione di Liguria). Le trofie!
Il mio animo camminatore mi ha fatta innamorare di quelle montagne cadute al mare, dei sentieri scoscesi e dei boschi ombrosi anche a mezzogiorno. Adoro quelle genti ruvide, avare di parole e prodighe di sorrisi, dall'operosità senza enfasi. Mi piacciono i prodotti eccellenti che sanno strappare alla terra, mi piacciono la salsapariglia, il ligustro e l'euforbia, il finocchio marino, gli ulivi e le viti indomite.
Tutto 'sto lirismo mi fa spuntare una lacrimuccia nostalgica per la mia estate manarolese, passata a sudare sui sentieri, già pregustando l'aperitivo guardando il mare, la cena dal Billy (ciao Billy, ciao Edo) e le chiacchiere sulla piazzetta .
Il basilico a foglia piccolina e dal profumo intenso qui me lo sogno.
Per condire le mie prime trofie autoprodotte ho improvvisato un ragù con triglia e verdure novelle dell'ortolana più cara (e simpatica) del mondo.
Dunque le trofie: 250 g. di farina bianca e altrettanta semola rimacinata, un pizzicone di sale e un bicchiere e mezzo abbondante di acqua tiepida. Impastare per almeno dieci minuti sul piano infarinato Fino ad ottenere un impasto elastico ma non colloso, che si lascerà riposare, coperto, per una trentina di minuti.
Per formare le trofie, staccare delle palline di pasta (lasciando il resto coperto) e far scivolare sul piano non infarinato, premendo con il palmo della mano, così.

Per il ragù: 3 cipolle novelle di Tropea, quattro carote e quattro zucchine novelle, una tazza di pomodorini sardi, tritati, prezzemolo tritato, 300 gr di filetti di triglia.
Ridurre in brunoise tutte le verdure, far saltare prima le cipolle, unendo successivamente le carote e gli zucchini. Lasciar cuocere per cinque minuti a fuoco vivace e poi aggiungere  i pomodori , facendo restringere la salsa per qualche minuto. Nel frattempo ridurre i filetti di triglia a dadini, unirli alla salsa e lasciare insaporire per tre - quattro minuti.  Salare,pepare e spolverare di prezzemolo tritato.
A parte cuocere le trofie in abbondante acqua salata per almeno 10 - 12 minuti, scolarle appena e far saltare con il ragù amalgamando bene.

Servire con un bianco freschetto (ieri sera un Greco strepitoso di cui la mia testa ricorda ogni goccia..).

Le nuvole cariche di pioggia che si rincorrono là fuori ci fanno ricordare l'ultimo film di Polanski.
Ma l'estate quando arriva?

ps: l'aglio qui sotto non c'entra niente ma mi piaceva la foto, ecco.
(Povera Pazza)


10 maggio 2010

Bangkok chiama Torre Annunziata: Pad Thai con pappardelle Setaro

"To explore strange new worlds
To seek out new life and new civilizations
To boldly go where no man has gone before"
Niente meglio del celeberrimo incipit degli episodi di Star Trek per descrivere la temerarietà di questa pratica di hard-core fusion che ha avuto luogo ieri sera nella mia cucina, scatenata dalla nostalgia provocata dalle avventure di Viperon e Bolinari in terra Vesuviana e mediata dal demone etnico che oramai mi possiede.

Ma procediamo con ordine. Il Pad Thai è cibo di strada di ovvia provenienza. Ne esistono tante varianti ma in essenza il piatto ruota intorno a fettuccine o vermicelli di riso, spadellati in compagnia di una messe di altri ingredienti e salse. La preparazione è caratterizzata da cotture veloci, a padella wok caldissima, con l'aggiunta di poco grasso vegetale. La versione "povera" e propriamente di strada del piatto unisce ai vermicelli solo del tofu, germogli di soia e uova strapazzate, legando poi il tutto con succo di tamarindo e salsa di pesce; le varianti più barocche e popolari in occidente includono gamberi, pollo e una varietà di salse e guarnizioni.

Come avrete oramai intuito, l’esperimento osa la sostituzione del pilastro portante del Pad Thai, i modesti e attaccaticci vermicelli di riso (non me ne vogliano i miliardi di esseri umani che ne consumano regolarmente generose porzioni) con la quintessenza stessa della pasta, una pappardella Setaro che, oramai lo sapete, è oggetto di venerazione qui a Hysteria Lane. L’atto di fede che guida la fusione è che la sublime  pienezza di gusto della pappardella non mascheri il delicato equilibrio dei molti sapori che contribuiscono al piatto. La convinzione che motiva il suddetto atto di fede è che la ruvidezza estrema della trafila (vi assicuro: potete limarvi le unghie con una pappardella Setaro!), in contrasto alla viscosità del vermicello originario, sappia meglio intercettare il concerto di salse ed umori dei numerosi ingredienti.  


Veniamo alla preparazione (dosi per 6 persone) che consiste, come d’uopo per gli stir-fry, di due fasi. Nella prima, prepariamo i singoli ingredienti; nella seconda li sposiamo con le varie salse.

Prima fase. Riduciamo un petto di pollo di mezzo chilo a cubetti di 2 centimetri di spigolo e sgusciamo 400 grammi di mazzancolle (lasciandone alcune integre per la decorazione del piatto). Nel wok, scaldiamo a fuoco vivissimo tre cucchiai di olio di arachidi e uniamo due grossi spicchi di aglio tritati. Quando l’aglio acquista colore, uniamo pollo e crostacei e spadelliamo velocemente finché il pollo non diventi bianco. Mettiamo da parte la preparazione e riportiamo il wok a temperatura con mezzo cucchiaio di olio. Soffriggiamo velocemente 300 grammi di germogli di soia fino a che non diventino translucidi. Mettiamo da parte e iniziamo la preparazione delle pappardelle di frittata come segue. Sbattiamo una per volta tre uova, aggiungendo un pizzico di sale, al fine di ottenere, utilizzando il wok appena unto, tre sottilissime frittatine. Per rendere più allegro il piatto, consiglio di colorare le tre frittatine di rosso, giallo e verde aggiungendo un cucchiaino di paprika dolce al primo uovo sbattuto, una punta di curcuma al secondo e un trito di basilico al terzo. Arrotoliamo poi strettamente le frittatine e tagliamole fino a ottenere strisce di larghezza pari a quella delle pappardelle. A questo punto lessiamo al dente (ça va sans dire!) e scoliamo 500 grammi di pappardelle Setaro.

Seconda fase. Portiamo a temperatura il wok con due cucchiai di olio di arachidi e rigiriamoci velocemente le pappardelle, in modo da separarle e renderle lucide. Uniamo di seguito pollo e gamberi, germogli di soia, metà delle pappardelle di uovo e, aiutandoci con due posate da portata, mischiamo il tutto. Per legare versiamo, nell’ordine, 4 cucchiai di salsa di pesce Thailandese, 2 cucchiai di ketchup (credetemi, sostituisce egregiamente l’introvabile succo di tamarindo), due cucchiai di salsa di soia, due di zucchero semolato e un cucchiaino di fiocchi di peperoncino. Tenete ancora una volta presente che tutta questa attività va svolta a wok caldissimo e che le cotture devono essere molto veloci.

Siamo pronti a impiattare. Ricopriamo il Pad Thai con le pappardelle d’uovo restanti e guarniamo con foglie di coriandolo, steli di erba cipollina e dischi di limone. L’ultimo passo consiste nello spolverare generosamente con un trito di 5 cucchiai di arachidi, che in questa preparazione fa le veci della nostrana aspersione di parmigiano.


Et voilà, la contaminazione è servita!


(GeppetNo - Photos by Renzo)

Il Giusép



Non ho mai avuto un gran rapporto con le robe lievitate.  Ancora ricordo il trauma di quella volta che mi sono messa in testa di fare i krapfen (duri come marmo). Da lì in avanti avevo deciso che  pane e derivati non erano per me.  
Mi ero concessa uan seconda chance  con il Giusép, un magnifico fornaio lombardo ottantenne cui era toccato in sorte di insegnare i rudimenti della panificazione a un ristretto gruppo di perdigiorno e sciure milanesi in una torrida estate di qualche anno fa.
Il Giusép ci guardava con un'aria lievemente divertita,  con il sopracciglio alzato e ci apostrofava bruscamente ogni volta che azzardavamo una profanissima domanda. Le sue manone infarinate impastavano con forza gentile, facendo nascere filoncini, rosette, grissini. Sembrava tutto semplice, fatto da lui.
Per me però il feeling con farine e lieviti non si era proprio mai creato. Doveva avere a che fare con la cottura, perchè l'atto dell'impastare lo trovavo e lo trovo naturale e ancestrale. E' stato come la prima volta che ho toccato l'argilla. Credo sia connaturato all'uomo.
Fabbricare un recipiente e preparare il pane sono gesti che conosciamo senza averli mai fatti.

Intendiamoci, io adoro il pane. E' un alimento di cui non posso fare a meno, forse l'unico. 
Ma cuocerlo da me lo trovo difficile.

Per completezza di formazione, però,  ho ufficialmente inaugurato la stagione del piccolo impastatore ed ho prodotto:
- il mio primo pane in assoluto. Carino da morire e con i semini di papavero ma insipido. 
  Il mio   cuore    va al pane cafone che trovo a Napoli e questo, troppo domestico, è stato relegato a        prova di laboratorio.
- la mia prima focaccia. Sì, buonina, ma non soffice come avrei voluto. Paoletta però mi ha insegnato a far lievitare in forno spento ma con la lampadina accesa. E funziona!
- I muffins alla fragola.  Ma questi non credo valgano. Ne ho fatti di mille tipi e con tante cose dentro, anche se i miei favoriti restano i corn muffins leggermente tostati.
Avevo delle fragole neglette in frigo ed ho pensato di dar loro una seconda giovinezza. 



Dunque, per una dozzina di muffins, serviranno:
100 gr (1/2 tazza) di burro morbido, 3/4 di tazza di zucchero, 1 uovo, due tazze di farina, una bustina di lievito, 1/2 cucchio di sale, 1/2 tazza di latte (io ne ho usato un pò di più), una stecca di vaniglia, una decina di fragole a dadini.
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Lavorare il burro con lo zucchero ed aggiungere l'uovo intero fino a che la miscela diventa spumosa. 
Aggiungere alternativamente la farina setacciata con sale e zucchero ed il latte. L'impasto deve essere morbido e leggermente colloso. Aprire la stecca di vaniglia e prelevare i semini con la punta di un coltello, aggiungerli alla miscela. Da ultimo unire le fragole mescolando delicatamente.
Riempire a 3/4 gli stampini da muffin, cuocere in forno preriscaldato a 185° per 25-30 minuti o fino a quando la superficie dei dolcetti non sia dorata.

La colazione semplice e tutto sommato poco calorica è servita.

Ah: Non so come si regolino gli altri scrittori-sperimentatori di ricette. Il mio credo calvinista mi impedisce di mentire, quindi tutto quanto pubblicato qui è stato cucinato sul serio. Cucinato ma non mangiato. Sto cominciando a distribuire a destra e a manca le prove tecniche di trasmissione.
Quanto prima la gente mi incontrerà per strada e fingerà di non ricoscermi per evitare di doversi portare a casa un doggy-bag di taralli 'nzogna e pepe venuti appena appena bruciaticci..
(PoveraPazza)



5 maggio 2010

Dalle parti di Torre Annunziata

Uscita Torre Annunziata Sud?  Nord?
Il riferimento è il centro della città. Ci avviciniamo. Moto browniano di motociclette.
A destra, a sinistra, a zig zag, sotto, sopra. manco avendoci gli occhi di una mosca.
Verso il centro il reticolo delle via si fa più regolare. Una moto nervosa ci tallona, sembra voler
passare, poi rientra, poi riguadagna la mezzeria.
All'incrocio abbandona i propositi bellicosi e si blocca.
Setaro? Più avanti.
All'isolato successivo, stessa storia. Noi incerti, quale dedalo imboccare. Nel dubbio
sempre avanti. Moto rombante dai nervi tesi al seguito. Fino all'isolato successivo.
Al terzo passaggio della staffetta bi-ruote ci fermiamo. Il terzo centauro si ferma.
Il terzo centauro si informa sui nostri fini ultimi.
Setaro? Fuori zona, tornare indietro con impacciata inversione a U.
Il terzo centauro commenta col quarto centauro (ormai solo in potenza) fermo sulla strada
'nn a sape porta proprio 'a machina'. La diagnosi come ignominia si abbatte sulle nostre teste,
e ci priva dell'opportunità di un supplemento di interesse.
Dopo iniziale stupore (memore della romantica signora inglese) per il servizio di accoglienza
organizzato dalla pro loco (molto pittoresco) siamo illuminati sulla via di Damasco.
Non di accoglienza ma di scorta si tratta. Sulla 'pro loco' ci avevamo azzeccato, pero' ....
Ci siamo avventurati in una zona 'militarmente presidiata' mettendo in scena qualche pagina di Saviano.
Deciso ... il quartiere ci piace poco e si prosegue come nell'ambientazione silenziosamente
attonita e sgomenta di un conflitto atomico..... e la qualità urbanistica suggerisce
che siamo già al "the day after" ....
La luce ... una indicazione per gli scavi di Oplontis, sontuosa residenza patrizia  romana.
Talora, per trovare qualche testimonianza di civiltà sembra che l'unica possibilità sia uno scavo archeologico.
In uno degli edifici sopravissuti al conflitto atomico ha sede la ditta Setaro.
Setaro è La Pasta.
In verità posso testimoniare almeno due scuole di pesiero dominanti: Pasta Setaro e Pasta Faella di Gragnano.
Come con Coppi e Bartali, la Lollo e la Loren.
E soprattutto Tertium non datur!
Dove mi porta il cuore già s'e' capito.
All'interno della ditta si cammina su un tappeto di farina di semola di grano duro, tra sacchi di pasta mista e seconde scelte.
Per accedere alla sancta sanctorum. Paccheri e mezzi paccheri, ziti, pene lisce e rigate, farfalle, spaghetti e tagliatelle, linguine e buchatini in confezioni troppo studiatamente vintage per non lasciar secchi.
I freni inibitori perdono l'olio. E' assalto isterico agli scaffali.


Alla conta, trenta chilogrammi di pasta.


Ultimo passo, la transazione economica.
E' officiata in antro da un vegliardo che incute religioso rispetto. Secco come un abitatore della cripta dei cappuccini. Scrive su un foglio di carta i numeri. In colonna. Tira una riga volitiva. Le ultime cifre evocano il verdetto. Inappellabile come Minosse. Molto più chiaro pero', va riconosciuto, del responso della sibilla cumana. In contanti.


Siamo al rientro dalla sbornia. Trenta chilogrammi di pasta. Forse è troppa.
Seconda avvisaglia. Trenta chili issati sulle rampe di piperno (3 piani, 6 metri per piano).
Terza avvisaglia. Alla richiesta di ospitalità la dispensa risponde niet!
Si squarcia il velo di maia...... farà le farfalle!


Me ne devo liberare!

(ViPeron)
PS. Se frequentate qualche negozio di alimentari tipo franchising Bulgari, potrete trovarla credo in tutt'Italia. L'ho vista anche a Cividale del Friuli, sul confine sloveno.

primavera que no llega - risotto DI verdure

Ma insomma, sono stufa.
La primavera si fa vedere per qualche ora, tutte leviamo le tanto odiate calze, mostrando piedi catarifrangenti infilati in ballerine nuove fiammanti. Compriamo asparagi fave piselli cipollotti fragole erbe di campo,  tutto quel verde tenero ci ipnotizza.
E poi ci son giornate come queste, di cielo plumbeo e pioggia battente, quando persino un'insalata pare fuori luogo.


Mi è  tornato in mente un piatto ben collaudato e proposto più volte (e cucinato, fatto raro, anche per me sola).  E' un "risotto"di verdure di cui raccontava Pietro Leemann in un  librino sulla cucina di casa sua.
Avete capito bene, non CON ma DI verdure.
Come si sa, Leemann è l'unico cuoco stellato italiano che fa solo cucina vegetariana. Quel suo Joia, a Milano, è un lusso che (ancora) non mi sono permessa. Qualche tempo fa, poi, ho letto  
la polemica sul Corriere che mi ha fatta molto ridere prima di scoprire che aveva sollevato un vespaio mai visto.
Leemann non sarà particolarmente simpatico, ma sa cucinare. E mi ha dato tante buone idee.
Questo finto risotto di verdure è proprio carino, oltre che buono.
Il concetto è semplice, si prendono verdure a pasta soda come zucchine, carote, patate, sedano rapa e le si grattugiano. Si prepara un soffritto (stasera di sedano e cipollotto fresco) , si "tostano" le verdure come si fa per il riso, e si portano a cottura unendo del brodo vegetale poco per volta. Si finisce, al gusto (l'ho imparato da Laura Esquivel !!), con una macinata di pepe, una spolverata di prezzemolo tritato e una manciata di parmigiano.
Non è un contorno, non è una zuppa. E' un cibo caldo e rassicurante, salutista ma non punitivo, colorato.
Scalda le sere tenebrose e gli animi cupi. Dite che è meglio lo spezzatino al Barolo? La pizza? La pasta al pesto? Eh, siete incontentabili proprio..
La ricettina guitta vi è stata presentata dall' alter ego vegetariano e integralista della Povera Pazza. Voi lo conoscete solo ora, ma è molto attivo da queste parti. Lo rivedrete presto!
C'è un ps: l'avanzo potrà essere la base di un'ottima frittata del giorno dopo.

3 maggio 2010

cucinare o non cucinare?

E' stato un fine settimana di sciopero dei fornelli, o quasi.

Giusto un baccalà alla "Lisbona antica" con pomodori, cipolle, patate e prezzemolo (chi vuole la ricetta bussi tre volte e sarà accontento).
Ma non è stato fotografato, non c'era la luce giusta e, semplicemente, non ero nello spirito.
Invece ho letto un pochino. Prima la rivista di cucina del Corriere, alla quale avevo dato un'altra possibilità - ma ho deciso che la qualità non vale il prezzo. Quindi basta, non la comprerò più. Lo dichiaro pubblicamente.
E poi un librino di scritti di Izzo che mi è tanto tanto piaciuto.
Scrive in modo struggente, di qualsiasi argomento si tratti.
Che sia Marsiglia, la sua gente e la sua musica, il cibo, il Mediterraneo, tutto in Izzo tocca profondamente.
Ed è a favore della cucina, lui. Eccome.
(..) Intorno alla tavola, nessuno escluso, si sgusciano fave, fagioli bianchi o rossi, si tagliano melanzane, zucchine, peperoni verdi, rossi, gialli, si puliscono pesci, si lavano polipi, calamari e seppie, si disossano conigli, si mettono a marinare carni rosse..Orate al finocchio, aioli, civet di ratatouille, bouillabaisse, zuppa al basilico, paella, carciofi in tegame, merluzzo con cipolla e salsa alle erbe.. I piatti nascono in amicizia, nel piacere di stare inseme, fra risate e parole senza freno. E a casa si scopre piena di profumi intensi.(...)
Jean-Claude Izzo - Aglio, menta e basilico . edizioni e/o.

Come dicevo ho scioperato, nel weekend. Ho trovato però alcuni usi alternativi di attrezzi da cucina.
Tortiere e pentole (bellissime) usate come vasi per fiori ed erbe aromatiche, per esempio.
Volevo anche personalmente testare il nuovo arrivo di Milano, questo Ladurée di cui parlate tutti, ma è stato chiuso per i due giorni del finto ponte del Primo Maggio. E vabbè, prossima settimana, via.
Ho in programma almeno due cene, quella classica del giovedì, che Ga mi è tornato dalla sua vacanza (beato lui) e una per sabato. Vediamo che ricetta guitta si produrrà! 

Intanto l'attesa di una delle tre star si fa spasmodica. Persino il disco di Ligabue si fa aspettare fino al 7 maggio.. Il lavoro chiama altrove (ahimè) e il piacere bisogna sempre rimandarlo.

Ma "aspettate e un'altra ne avrete"  come dicevano i dischi delle fiabe sonore che ascoltavo quando ero bimba. Un abbraccio a tutti e a presto con la produzione della settimana.
(Povera Pazza)