"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

28 aprile 2011

alfabeto alimentare - G come galangal

 
 Il galangal è il rizoma della Kaempferia galanga, coltivato in India e nel Sudest Asiatico. Usato per secoli come rimedio medicinale e in cucina per il suo aroma delicato ma persistente, se assunto in grandi quantità avrebbe effetti psicoattivi.
Lo possiedevamo già essiccato, ma nell'ultima spedizione da Kathay lo abbiamo trovato fresco. Mannaggia a noi, la quantità usata nella marinata era di certo troppo esigua: di effetti psicoattivi manco l'ombra. Ma neanche una risata inopportuna o un rilassamento sospetto. 
Niente.
Sembra addirittura che in Nuova Guinea fosse un ingrediente della mistura per preparare le frecce velenose. 
Tutto questo lo abbiamo scoperto dopo: per fortuna in frigo c'è una bella scorta, ci riproveremo e intingeremo le biro per la prossima riunione di condominio.

 
 Il galangal noi lo abbiamo usato per aromatizzare una marinata con latte di cocco per il pesce da cuocere poi nella foglia di banano (pure lei frutto della stessa spedizione).
E' un buon piatto, facilmente replicabile anche impiegando più prosaicamente carta forno bagnata e strizzata. Certo, il fagotto verde dona un ulteriore aroma boscoso agli alimenti e poi, diciamolo, è carino da morire.
Dunque, per il pesce al forno Thai style, ci vorranno (per 3 persone):
- 3 filetti di pesce a carne soda (salmone, merluzzo, persico)
- foglie di banano per cuocere o carta forno bagnata e strizzata

per la marinata:

- 1 cipollotto
- 1 spicchio d'aglio
- 2/3 steli di spring onion (o erba cipollina)
- 4 cm di galangal fresco affettato (o zenzero)
- 2 cucchiaini di coriandolo in polvere
- una manciata di foglie di coriandolo fresco
- un cucchiaio di salsa di pesce (io colatura di alici di Cetara)
- 2 lattine piccole o mezza grande di latte di cocco
- 2 foglie di kaffir lime oppure la buccia grattugiata di un lime
- 1 peperoncino fresco, affettato
- 1 cucchiaino di chili in polvere
- il succo di mezzo lime

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Passare al mixer tutti gli ingredienti per la marinata. Attenzione: la radice di galangal è molto coriacea, quindi affettarla il più sottilmente possibile altrimenti non si riesce a tritare.
Immergere il pesce in metà della marinata, in un largo contenitore. Coprire con pellicola e lasciare insaporire in frigo per un'oretta almento.
In seguito preparare i cartocci di foglia di banano e posarci un filetto di pesce al centro. Chiudere con due stecchini e cuocere in forno caldo (180°) per 15-20 minuti.
Servire nel cartoccio, tagliando una delle estremità. Irrorare a piacere con la marinata avanzata e decorare con coriandolo tritato.
Accompagnare con semplice riso basmati e pomodorini al forno.

 Sempre con la G avremmo in serbo anche germogli e gyoza. Ma queste sono altre storie.
(PoveraPazza)

26 aprile 2011

le cassatine della zia Sara

 E' stato un bel fine settimana, questo della festa di primavera. Ci sono state persone da incontrare, semi da piantare, cibi da mangiare, libri da comprare (e da leggere, speriamo), film da vedere. Anche pavimenti da lavare, ma lasciamo perdere.
Con tutto questo le tanto annunciate cassatine di zia Sara (non mia, la zia, ma come se) sono state prodotte a giochi quasi fatti e cioè il pomeriggio di Pasqua.
Ebbè, l'importante è rispettare le tradizioni, mica arrivare puntuali.
Queste cassatine non sono quelle universalmente note, con i canditi e la pasta reale, ma quelle tipiche del ragusano, semplicissime e molto meno opulente: una semplice sfoglia non troppo dolce ripiena di ricotta aromatizzata al limone. Si preparano, secondo la tradizione,  per Pasqua.
Solo per Pasqua.
Mica sono frivoli, i ragusani.
La zia Sara le cuoce nel forno a legna e le fa anche più grandi di queste che sono bite-size.
Non me ne voglia: sono un'allieva indisciplinata.
Per 6  cassatine grandi o 12 piccine (tagliapasta da 6 cm di diametro):

Sfoglia: 150 gr di semola rimacinata di grano duro e 150 gr di farina 00
- un uovo
- 3 cucchiaio di zucchero (io di canna)
- un pizzico di sale
- 2 cucchiai di strutto (con dolore li ho usati)
- acqua a temperatura ambiente circa mezzo bicchiere
Ripieno: 500 gr di ricotta
- la buccia grattugiata di un limone grande
- 3 cucchiai di zucchero
- cannella in polvere
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Formare la fontana e nell'incavo rompere l'uovo, aggiungere sale, zucchero, strutto e poca acqua e cominciare ad impastare. Aggiungere altra acqua se serve: io ne ho usato circa mezzo bicchiere. Impastare con decisione per una decina di minuti o fino a quando la pasta non sarà liscia e uniforme,  ma soda. Formare una palla e lasciare riposare per una decina di minuti, coperta.
Nel frattempo lavorare con una forchetta la ricotta con lo zucchero e il limone grattugiato.
Tenere da parte.
Stendere la sfoglia con il mattarello (come ho fatto io ) o con la macchina per la pasta (come fa zia Sara) fino al tre, dunque sottile ma non sottilissima.
Tagliare dei cerchi di 6 cm di diametro (nel mio caso) e porre al centro un cucchiaio di ripieno.
Creare un bordo pizzicando la pasta tra le dita, quasi a voler disegnare dei raggi.
Nella mia infinita ignoranza pensavo che la ricotta si "sedesse" in cottura, uniformandosi.
Non si siede. Se volete un aspetto regolare appiattitela in questa fase con il dorso del cucchiaio.
Infornare a 180 ° per una ventina di minuti, curando di porre sul fondo del forno un pentolino d'acqua che crei umidità. Le mie le ho cotte di più e sono risultate un poco troppo secche.
Una volta fredde, cospargere con la cannella in polvere.
Sbagliando si impara - si sa-. Dovrò ripetere l'esperimento prima della prossima Pasqua.
Per ora devo dire che quelle di pugno di zia Sara sono meglio delle mie. Ma imparerò.
(PoveraPazza)


19 aprile 2011

di nuovo fuori come un salone

Ancora inviato al FuoriSalone l'occhio di PoveraPazza.
Mica possiamo solo cucinare.






Gaetano Pesce

Karim

Ingo






Buona Fortuna

18 aprile 2011

green power - ecorisotto

 Del rapanello, come del porco e del cavolo, non si butta niente (sarà per questo che porci e cavoli stanno molto spesso insieme? mah). Sono entrata nel tunnel del consumo globale degli ortaggi, complice quella bellezza di libro che è La cucina a impatto (quasi zero).
Ora, le manie di certo non ce le siamo mai fatte mancare. Fatto sta che il frigo di casa ormai è pieno di parti verdi, baccelli, foglie esterne. Tutto in attesa di essere nobilitato da Lisa o, più probabilmente, di finire nell'umido per scadenza dei termini di prescrizione.
Vivrò nella pia illusione di diventare un bravo donnino che non spreca neppure una foglia.
Intanto, però, ho fatto davvero questo risotto, buono, e NON HO BUTTATO NULLA del mazzetto di ravanelli che ho comprato ieri. Giusto l'elastico che li teneva insieme, ma nella differenziata.
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Per due persone:
180 gr di riso vialone nano
5 cm di parte bianca di un porro
50 gr di prosciutto cotto magro, a cubetti
1 mazzetto di ravanelli con le foglie
sale , pepe, olio
un cucchiaio di parmigiano grattugiato per mantecare
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Procedere nel modo consueto:
in un filo d'olio saltare leggermente il porro. Dopo qualche istante aggiungere il prosciutto e le foglie di ravanello, accuratamente lavate e tagliate a striscioline. Unire poi il riso. Lasciare tostare per due minuti. Salare.
Coprire a filo con acqua bollente non salate e portare a cottura (15 minuti circa) aggiungendo altro liquido quando necessario.
Lasciare il riso molto umido. Spegnere il fuoco e unire quattro ravanelli tagliati a fettine, il cucchiaio di grana e pepe macinato al momento, se piace.

 
(PoveraPazza)

15 aprile 2011

chi sa, fa. Gli altri mangiano

 Cambio della guardia, inevitabile, al timone delle cene del giovedì.
Il ragazzo, sfuocato, della foto sotto, ci nutre lo spirito e poi, ma solo dopo, il corpo.
Ieri sera si è prodotto in un virtuosistico primo, di cui non so assolutamente la ricetta e che non avrei mai la pretesa nè la pazienza di rifare.
Caramelle di patate, ripiene, su salsa alle erbette e spuma di parmigiano.
L'invidia vi attanaglia? Ne avete ben donde. Abbiamo visto le nuove generazioni dar di sifone, mentre noi, più modestamente, ci producevamo in una tartara di asparago con gambero allo zafferano.
A ognuno il suo: ai giovani la creatività, agli anziani l'illusione della freschezza.
Pietro, grazie!

Pietro il sifonatore

11 aprile 2011

concorrenza

Vorrei poter dire che il MiArt mi è piaciuto. Vorrei poter dire che i 15 eurini di ingresso, per uno spazio espositivo dimezzato, sono stati spesi bene. Vorrei poter dire che mi sono stupita ad ogni passo, che ho visto innovazione, creatività, temerarietà, gioventù.
Vorrei poter dire che ci si pestava i piedi, da quanta folla c'era.
E invece no. Il nulla. La stanchezza, la noia. La S.ni - sorella che porta in giro i suoi trenta chili scarsi mentre quell'altra promuove crociate contro l'anoressia.

Se continua così MiArt sarà un'occasione persa. Un'altra. L'unica galleria di un qualche interesse era di Basilea, e l'unica opera emozionante un'animazione fotografica su Scampia, da Lia Rumma.
Per fortuna che c'era lui.
Perfetto.
Mi sono improvvisata Sartorialist. Non avrei cambiato nulla. Un miracolo di gusto nel guazzabuglio cialtronesco dei mercanti d'arte.
Ho detto.
(PoveraPazza)


8 aprile 2011

alfabeto alimentare - F come fave (con ospite speciale)

 

Tanto vale confessarlo subito: le fave sono una scoperta recente. Recentissima direi. Mia mamma non credo le abbia mai comprate in vita sua ed io sono diventata curiosa del loro sapore da poco. Continuano a non dirmi tantissimo, soprattutto crude. 
Fanno bene da matti (100 gr di legumi al giorno pare annientino il colesterolo cattivo, ad esempio) e sono obbligatorie in primavera.
Il loro sapore tutto sommato neutro si presta a essere esaltato dalle spezie.
Ieri sera ci siamo mangiati una vellutata un pò thai:
1 kg di fave sgranate e sbollentate (di solito le sbuccio, ma in pieno trend ecologista questa volta non l'ho fatto) - ne rimarrà una tazza scarsa
3 zucchine medie
1 patata grande
1 scalogno
1 cucchiaio raso di pasta di curry verde
300ml di latte di cocco
olio, sale in fiocchi, sesamo nero per guarnire e coriandolo fresco (se lo trovate)
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In un filo d'olio caldo saltare lo scalogno con la pasta di curry, aggiungere la patata a dadini  e fare insaporire.
Unire poi le zucchine, sempre a dadini e le fave. Mescolare bene.
Aggiungere il latte di cocco e un bicchiere d'acqua.
Cuocere a pressione per 8 minuti o per una ventina tradizionalmente.
Passare al frullatore a immersione, aggiungere il sale (ma poco che quasi non serve).
Servire in ciotoline, cospargendo di sedano nero e di coriandolo fresco.

 


Sempre con la F non potevano mancare le fragole.  Servite, come nella foto sotto, semplicemente condite con un cucchiaino di zucchero di canna chiaro e cinque o sei fiori di rosmarino, sono deliziose e pochissimissimo caloriche.

(PoveraPazza)

6 aprile 2011

bulgur de noantri (o quasi)

E insomma, è primavera. Ho tolto le calze. Ho comprato le ballerine di camoscio. Mi devo depurare.
Son tutte cose che in primavera accadono, vero? Da me scoppia la mania (se mai ci fosse bisogno che scoppino altre manie) del cibo sano e mediterraneo, nella sua accezione più ampia.
Corsia preferenziale per verdure e cereali e frutta e fiori. Niente di nuovo, dite? Vabbè.
Questo piatto ha ricevuto il plauso di ViPe, che cito integralmente: E' una meraviglia, lo usano i battenti nelle cerimonie del venerdi' santo insieme alle spugne coi chiodi imbevute nell'aceto.
Se vorrete provarlo, con o senza chiodi, fatemelo sapere!
Per due (occhio che il bulgur cresce da pazzi):

100 gr di bulgur
un mazzetto di bieta da costa, sminuzzata (gambi e foglie separati)
una cipolla dorata, tritata
un cucchiaio abbondante di sumac
30 gr di pecorino col pepe
olio d'oliva, sale
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L'idea è di risottare anche il bulgur (come quinoa e amaranto, qui si risotta tutto ormai).
Fare un soffritto leggero con la cipolla e i gambi della bieta, aggiungere il sumac e insaporire per un minuto.
Unire anche le foglie sminuzzate e quindi il bulgur. Salare.
Coprire, a filo, con acqua bollente non salata. Cuocere per dieci minuti, rabboncando l'acqua se necessario.
Unire il pecorino a scagliette, mescolare e lasciar riposare cinque minuti.
E bon, finito.
Sarà anche il mio pranzo, il bulgur cresce, come si è detto!!
(PoveraPazza)


4 aprile 2011

Al SUD - III



Terza puntata, terza visita al Sud, tre commensali (Viperon, Amedeo Bolinari, Povera Pazza). E il tre non è un numero perfetto non essendo somma dei suoi fattori. Povera Pazza si è catapultata sull'aereo lasciando ogni forma di copertura in ufficio. La cosa più saggia da fare in questo prolungata stagione invernale dove aprile sembra ancora troppo lontano per manifestarsi come il più crudele dei mesi (eppure mancan solo pochi giorni).
Per ripararsi indossa un mio giubbetto sdrucito e scolorito. Pare sia stata paracadutata direttamente dall'aereo in un cassonetto della Caritas e che da li sia uscita in toilette.
Tavolo con vista cucina, alla Ivory. Non c'è più la vestale del primo post e la vestale sostituta ha scordato di ingoiare la pertica. Sono privato delle mie confortevoli certezze. Ed è una fortuna perché questa sera con le buone maniere l'abbiamo proprio mandata in vacca. S'e' gareggiato a impataccare la tovaglia. Più che mangiare sembrava ci fossimo dati all'action painting. Bolinari ha performato durante l'antipasto. Povera pazza credo durante il primo, io ho dato il meglio durante il secondo. Alla fine sembrava stessimo grufolando in un truogolo.
Il secondo antipasto è il Bon Bon di gamberi su velutata di carciofi e puntarelle.
Il gambero deve essere fresco perché pretende di essere mangiato crudo. Un bel gambero per un bob bon. Due bon bon a testa. Il gambero deve essere sgusciato, privato del filamento, aperto a libro, leggermente battuto. Per il ripeno del gambero ricotta di bufala lavorata con buccia abbondante di limone fineente tritata (la buccia di un intero limone per 150g di ricotta). Per ottenere il Bon Bon si avvolge una noce di ricotta aromatizzata con il gambero piallato. Povera Pazza che ne sa una più del demonio ci consiglia di avvolgere il bon bon in pellicola trasparente, comprimere delicatamente e mettere a riposare in frigorifero.
Per la vellutata si mondi un carciofo e lo si cuocia coperto con poco olio e acqua, si lessino un paio di patate non grandi, olio e sale e tutto tra le lame rotanti del minipimer  (cosi' ce la siamo immaginata noi). Nella vellutata vanno celate sottili lamelle di puntarelle che con la loro amarezza facciano da contrappunto al sapore delicato della vellutata.
Per servire, una base di vellutata, puntarelle, altra vellutata e gli amici di maria sopra come da didascalica riproduzione.



Povera pazza ha tirato il collo tutta la sera per vedere e farsi vedere dalla cuoca. Alla fine della serata aveva un collo più lungo di Marella Agnelli, in grande ritardo sui tempi perché, se il collo di cigno era distintivo negli anni cinquanta, oramai l'unità di misura della distinzione accreditata è il litro (di silicone).

ViPeron

3 aprile 2011

Al SUD II


Povera Pazza è sbarcata a Napoli con accuse di mendacio e promesse di rottura di amicizia. Non senza ragioni. La promessa di un post Sud II  (the revenge) non è mai stata onorata.
Eccoci qua a espiare peccati, colpe e soprattutto omissioni in osservanza di una educazione tanto cattolica da avere ormai il fascino glamour del vintage (tanto mica c'e' qui qualcuno che legge sotto i quaranta).
La prima portata di cui s'è goduto: la cheese cake di baccalà classificata come antipasto in quel viatico che nella prima visita si appellava 'percorso' richiamando una evocativa via che come Chatwin avremmo dovuto forse annotare in una luttuosa moleskine.
La sacerdotessa del Sud perdonerà i maldestri tentativi e molteplici di plagiare le sue creazioni. Ceci ammollati la notte precedente vengono 'scamazzati', dopo esser stati bolliti, con un dionisiaco minipimer aggiungendo sale acqua, olio ad ottenere una purea di fluida consistenza.

Ricotta di bufala con buona pace di pallidi abitanti di basse valli alpine. La ricotta va cotta per una decina di minuti in forno trattenuta nelle sue pulsioni espansive da un 'coppa pasta'. Su queso potrei aprire un excursus che ha un suo modello letterario forse solo nella storia della colonna infame rispetto ai promessi sposi. Scaffalate nei negozi di cilindri da 10 cm che vi costringerebbero a ingollarvi mezzo chilo di ricotta a testa (e si sa che ogni portata al di sopra dei 20 grammi e al di sotto dei 20 euro è una volgare portata da taverna). Dopo estenuate ricerche si son trovati dei meravigliosi 8 cm. Belli e costosi come bracciali di Pianegonda. Per organizzare una cena da 10 vi conviene un finto matrimonio per una vera lista di nozze. Alla fine andrebbero meglio quelli da 6 cm. Nella parte interna i coppa pasta vanno unti di olio e cosparsi senza parsimonia di polveri di semi di finocchio schiacciati in mortaio (memento pulvo es …. e il mio sembra proprio un'urna cineraria).
Meglio avere l'accortezza di poggiare su un foglio di carta da forno i coppa pasta ricottati. I coppa pasta sono stati riempiti solo nella metà inferiore e nella parte superiore vengono colmati con scaglie ampie di mussillo dissalato cotto per 3-4 minuti in acqua bollente. Non usate il coroniello percarità ... Quando fate la bollitura del mussillo di baccalà tenete lontano Amedeo Bolinari.
Gli ho affidato l'impegnativa operazione per dedicarmi momentaneamente alla pulitura di parte delle stoviglie. Mentre ero intento a questi lavacri lustrali mi chiama il Bolinari e mi porge in mano un coperchio, così  distrattamente. Io che, quando ho la centralina nervosa staccata, mantengo ancora una immotivata fiducia nel prossimo, distrattamente lo prendo. La temperatura era quella della fusione del ferro. Le  impronte digitali scomparse dai polpastrelli facevano bella mostra di sè sull'acciao come una meravigliosa sindone postmoderna di Pistoletto. Non ho lavato più il coperchio e le ho lasciate lì depositate in attesa che la polizia, dovendomi arrestare, abbia la possibilità di rilevarle.


Sul piatto di portata va steso un sole di purea di ceci. Sopra si traferisce la cheese cake. Sopra la cheese cake un pomodorino del vesuvio confit (che io ho confittato troppo) e non ultimo una pioggia dorata (i maligni si tacciano) di buccia di limone.

(Viperon)

1 aprile 2011

risotto agli agrumi e crudo di gamberi

 Vi avviso: qui si saccheggia a piene mani. Da forniture alimentari e da idee. 
Il riso è un regalo, come sono un regalo il cedro e i limoni. Le idee ce le siamo rubate, e basta. Ma facciamo ordine.
Di Identità Golose e del risotto di Gennaro Esposito si è già molto parlato, di Marianna Vitale pure, ma questa volta ci siamo andati (come dice Laura, ormai parlo come il Mago Otelma) di persona e abbiamo assaggiato e non solo desiderato. Lei mette ricotta e limone (insieme o separati) in quasi ogni piatto: sono ingredienti che le piacciono, sembra. A noi pure.
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L'altra sera ho pensato di candire il cedro: 
  prelevo la buccia, la sbollento, cambio più acque e la lascio raffreddare dentro l'ultima.
A questo punto mi rimane un'acqua profumatissima che mi spiace buttare e che mi fa ricordare l'infusione di bucce di limone di Gennaro.
Ne farò un risotto, deciso.
Al Sud avevo appena mangiato i bonbon(s) di gambero crudo e ricotta al limone: eureka.
Risotto "inventato"
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160 gr di riso (io santì'andrea regalato, ma di solito uso Carnaroli)
acqua di agrumi, Edda spiega benissimo come farla(io cedro, ma va benissimo il limone)
la polpa di mezzo cedro ( o limone)
10 gamberi (io grigi), sgusciati e privati del budellino
buccia di un limone grattugiata finemente
100 gr di ricotta di pecora
sale, pepe, olio d'oliva
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Condire la ricotta con la buccia del limone e poco sale.
Ridurre la polpa di cedro e i gamberi in dadolata, condirli con un filo d'olio e poco sale.
Avviare il risotto: tostare il riso in pochissimo olio, salare in tostatura e portare a cottura aggiungendo poco a poco l'acqua di cedro.
Mantecare con due cucchiai di ricotta al limone e completare con il crudo di gambero.
Completare, se piace, con pepe macinato al momento.

PoveraPazza ringrazia gli incosapevoli ispiratori.