"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

23 febbraio 2013

avere il gatto sul fuoco

 
Stamattina mi è tornata in mente questa espressione che la zia Mariuccia andava ripetendo, trafelata, in prossimità dell'ora di pranzo. "Ho il gatto sul fuoco!" che, lungi dall'essere presa alla lettera (sto cucinando un gatto) significava: non ho niente di pronto, i fornelli sono spenti, ci dorme persino il gatto.

Questo blog ha il gatto sul fuoco da parecchio tempo. Nel caso della zia Mariuccia si trattava di una finzione letteraria, lei non aveva mai il gatto sul fuoco. Mai.
Qui invece non si cucina, se non poco e male. Senza piacere, senza fantasia.
Cucinare è cura. Nutrire è cura.
Se non si ha nessuno da curare la creatività latita. Per me sola non ho l'energia neppure per una spesa che vada oltre due arance e un litro di latte.
Tornerò ad accendere i fornelli, non ne dubito. Per il momento studio, cerco stimoli che non arrivano. Non facilmente.
Ho bisogno di costruire, di creare ma non ne ho la forza.

Allora meglio un decoroso cinese take away che un cattivo pranzo cucinato senza voglia.

(PoveraPazza)

19 febbraio 2013

una vita in levare (nel senso di togliere)

 
 Caro diario, vorrei essere in grado di togliere: orpelli, oggetti, parole, persone. Vorrei un vivere essenziale, di sentimenti grandi e profondi, di amori duraturi, di abitudini sane.
No, non è Paulo Coelho che straparla dopo aver visto uno spot Mulino Bianco.
Sono io, che straparlo sempre. Nessuna novità, dunque.

Per non farla troppo lunga nè filosofica partiamo dalle abitudini sane. Mi ero ripromessa di non affidarmi più all'industria alimentare per le mie colazioni e ci avevo già provato con i biscotti del Lagaccio, ahimè venuti terrificanti.
Ci riprovo con un cake di levatura (sempre nel senso di togliere) altissima, proprio nei giorni in cui le industrie alimentari non hanno un'immagine così immacolata.

Quattro ingredienti, non serve altro. Forse da domani sarò più buona.

Cake alla panna (che l'avevo comprata per altro e spiaceva buttarla):

230g farina 00, di buona - ottima qualità
150 g zucchero semolato (o scuro, o miele - come preferite)
2 uova grandi, bio
250ml panna fresca
1/2 bustina lievito chimico
una presa di sale
un cucchiaino di estratto naturale di vaniglia

Portare il forno a 180°.
Con la frusta, sbattere uova e zucchero fino ad ottenere un composto spumoso. Aggiungere anche la panna, continuando a sbattere. Unire l'estratto di vaniglia (o i semini estratti da una bacca) e la farina setacciata con il lievito ed il sale.
Mescolare bene bene.
Trasferire in uno stampo da cake, cuocere in forno già caldo per una quarantina di minuti o fino a che lo stecchino inserito non esca asciutto.
As simple as that.

Buona colazione


(PoveraPazza)

11 febbraio 2013

un blog ti rovina la vita

Ero una creatura di cattivo carattere ma ingenua e a suo modo accomodante.
Sono diventata una strega.
Tutta colpa del blog.
Con il blog ho imparato un sacco di cose, ho conosciuto parecchie persone interessanti e molto più intelligenti di me, ho assaggiato e provato a cucinare alimenti che mai avrei degnato di uno sguardo. Non ho smesso di essere cialtrona ma ora sono cialtrona in modo consapevole e se cazzeggio lo faccio orgogliosamente.
Ma c'è un rovescio della medaglia: non posso più mangiare al ristorante.
I ristoranti della piccola città sono sempre stati al più "casalinghi" e dunque di rara e disperante frequentazione. Ora li trovo proprio banali in modo insopportabile.
Il fatto grave è che ho cominciato a trovare banali nello stesso modo anche i luoghi della grande città, posti che prima guardavo con occhioni sgranati e che ora analizzo con spietata durezza, occhiale da presbite innestato e cucchiaio sollevato.
Ma possibile? Rivoglio il viteltonnè della mia infanzia e le infami pizze sciape che mangiavo con gusto. Non parlatemi di un abbattitore, del rabarbaro, di quinoa e alga kombu, di takoyaki o aria di rosmarino.
Vado a prepararmi un brodo di dado purificatore.

E no, il blog non lo chiuderò. Non l'avrete vinta.

(PoveraPazza)