"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

30 aprile 2010

dove volano le papere - scorfano con le fave

Si apre il sipario e il simpatico raccontatore di barzellette compare. Il pubblico attende il prossimo numero di alto equilibrismo o di prestidigitazione. Ma la scenografia deve cambiare. Gli attrezzisti si avvicendano febbrilmente dietro la tenda di velluto rosso. Al simpatico è affidato l'intermezzo. Nessuno gli presta attenzione, gli sguardi sono puntati alle sue spalle. La tensione è palpabile, la curiosità è forte. Che numero avrà preparato stasera IL GRANDE MAGO?
Ciò che dice il simpatico non ha importanza, in teatro il silenzio non è ammesso. Lo sanno tutti.
Il simpatico è una papera tra i condor.
Lo sa da sempre, si è fatto una ragione. La mediocrità è anche comoda, nessuno pretende da te la novità, il guizzo di genio.
Un operaio del varietà, un teatrante onesto ma non una stella, oh no!

La Povera Pazza si ritaglia in questo blog il ruolo di guitto di periferia, da Doctor Parnassus senza poteri magici. Un buon artigiano ma non un artista. 
Lo spettacolo però, continua ,e dunque la ricettaguitta di oggi è un piatto di pesce. 
Completo, unico, vedete voi.
La Cucina Italiana ci ha messo il genio, l'artigiana le mani.
Per due persone servono: 300gr di filetti di triglia, altrettante fave sgranate e qualche grammo meno di patate, un bicchiere di vino bianco secco, uno scalogno, un uovo, erbe, farina, latte, olio d'oliva, sale, pepe nero in grani.
Triglie non se ne sono trovate, allora si sono usati dei filetti di scorfano che, almeno, hanno un colore simile.
Si mettono i filetti a bagno nel latte con alcuni rametti delle erbe che si hanno (qui, timo). 
Si lasciano al fresco per un'ora. Nel frattempo si sbollentano e pelano le fave e si lessano le patate con la buccia lasciandole al dente.
Si cuociono gli scalogni a rondelle con il vino e un filo d'olio fino a quando il vino non sarà evaporato del tutto e l'olio avrà cominciato a sfrigolare.
Si grattugiano le patate sbucciate e ormai fredde e si raccolgono in una ciotola con le fave tritate grossolanamente (al mixer o a coltello). Si amalgama il composto, si condisce con sale, pepe e un filo d'olio. Si formano poi delle frittelline (un cucchiaio non colmo di composto andrà bene) leggermente schiacciate. Si cuocino senza grassi e da entrambi i lati in una padella antiaderente. 
Si tengono poi in caldo.
Nel frattempo si sgocciola il pesce dalla "marinata" di latte, si passa nella farina e poi nell'uovo battuto. Si friggono i filetti nell'olio d'oliva (la ricetta prevede il burro spumeggiante).
Al termine della frittura si salano leggermente.
Si prepara una salsina con gli scalogni cotti, qualche foglia di prezzemolo e di menta (non l'avevo) e olio sufficiente a far girare agevolmente il minipimer. Si aggiusta di sale e pepe.
Ora si alternano, a piramide, le frittelline, la salsa e i filetti di pesce.
Si profuma con un nonnulla di buccia di limone (o è sfusato di Amalfi o non è -  ah, dal loggione arriva un pernacchio che ci riporta alla realtà. Buccia di limone, vabbe. Almeno non trattato eh!)
Uh, dimenticavo il letto di insalatina (nella foto rucola).

Mangiate caldo e in fretta. L'intermezzo sta per finire e il prossimo numero va a cominciare!

(Povera Pazza)

Ps: Eva, you're right. I promise that I won't be too lazy and start translating at least the recipes.
In this case- and just for you - :

boil for ten minutes a couple of potatoes, then grate them.

peal a good amount of fava beans (to do so it is necessary to boil them for 30 seconds), then chop them roughly.

add to the grated potatoes together with some parsley, chopped, salt and pepper and a splash of olive oil.

Meanwhile you have soaked some mullet (or other tasty fish) fillets in a couple of cups of milk with thyme and rosemary.

While the fish soaks (an hour will do), you will cook two scallions in half a glass of white wine and olive oil, let it simmer until all the wine is evaporated and the oil begin to sizzle. Then blend the mixture adding mint and parsley, salt pepper and olive oil.

With the potato-fava mixture form some little "pancakes" and cook them in a pan, with no grease, 2 minutes per side.

Drain the fish from the milk, flour it and then quickly pass it in a whisked egg.

Fry, on both sides, and salt at the end.

Then tower all the items as you see in the picture, first the potato-fava fritters, a spoonful of sauce and then the fish.

Sprinkle,if you like, with some grated lemon peel.



I apologize for this hurried and shabby translation. Next time it will be better, I promise!





28 aprile 2010

essere amedeo bolinari



chapter one: LE VOCI.

Una ossessione.

Vado a letto sempre più tardi del necessario, poi mi sveglio stanco e mi dico: da stanotte a letto non più tardi delle undici!
E' una domenica qualunque. Una di quelle domeniche da principio di mal di testa che poi mi dura tutta la giornata.
Non ci ho capito molto ma devo aver fatto strani sogni. Di uno di questi sogni mi resta il riverbero di un nebbioso ricordo: una folla! Una folla crescente ad ogni angolo, mi seguiva ripetendo ossessivamente il mio nome, come in una litania. Quando mi voltavo, notavo che le persone alle mie spalle avevano uno sguardo fisso, ottuso.
Uno sguardo ottuso ed annebbiato come quello di un pesce scongelato che ti guarda, pancia all'aria, da una tinozza.

chapter two: SOGNO O REALTA'.

Una ossessione, in quale altro modo potrei definirla.

Una domenica qualsiasi, una di quelle in cui apri tutti i balconi di casa, per far circolare l'aria e far entrare il sole.
Sul divano ascolto per un po' il silenzio ..............
Che si trasforma presto in un fischio _._._._
Intervallato dal crepitio dei muri ._\._\._\
muri che si stiracchiano al sole dopo un inverno di pioggia senza fine.
Niente di più assordante del silenzio!
Seduto sul divano mi guardo le punte dei piedi tiro un sospiro e mi alzo.
Avrò pure un buon motivo per uscire!
Un prelievo al bancomat, ad esempio... oppure un giornale, che non leggerò,
Faccio una doccia ed esco.
Per strada mi capita, come al solito di osservare tutto e trattenere niente. La mia attenzione si perde in una infinità di inutili rivoli: le carte a terra sono ancora tutte lì ,al loro posto, sopra e sotto il bordo del marciapiede, lacerate e decomposte dalle auto in sosta eterna; il traffico, pure è lì dove deve stare, ovvero su entrambi i sensi di marcia; i motorini, pure loro non mancano, eccoli, anche loro su entrambi i sensi di marcia e talvolta pure sui marciapiedi, alla loro guide le foche, scaltre nel caos ma inabili all'uso dei freni anche inibitori. 
Ad un tratto avviene qualcosa che cambia volto alla mia domenica qualunque: una frenata! Una frenata stridente ed ecco che, succede proprio come nel sogno di questa notte, un brivido parte al di sotto del coccige e mi arriva alla nuca. Non ho dubbi è proprio il mio nome ad essere evocato a gran voce... risuona, resta a lungo a mezz'aria una voce  grida: "AAAmeeedeeeo Booolinaaarrr"

Non riesco a voltarmi. Ho paura! temo che la folla, cominci a seguirmi. Quel grido disumano risuona come un richiamo, un grido di battaglia. Cammino diritto senza sosta, percorro strade senza metà, svolto angoli senza ragione e non oso voltarmi. Comincio ad avere coscienza del fatto che il mio nome l'ho sentito tante volte urlato o pronunicato sommessamente per le strade di questa città, a volte addirittura con una declinazione al femminile AAAmedeeeaaa Bolinaaaraaa ..... spesso anche mamme e sorelle ho sentito definirle delle Bolinare. Sbagliando evidentemente le vocali del mio cognome. Come un automa sono arrivato al mercato del pesce, qui tinozze di alici mi guardano con lo stesso sguardo della folla del mio incubo, ad un tratto una voce garrula alle mie spalle dice "dotteo i buleit deoj alaisc" [il pescatore si esprime nel dialetto di Pozzuoli. n.d.r.] 

chapter trhee: IL LAVORO SPORCO

Una domenica qualsiasi, una di quelle in cui apri tutti i balconi di casa, per far circolare l'aria e far entrare il sole.
Sul divano ascolto per un po' il silenzio ..............
Che si trasforma presto in un fischio _._._._
Intervallato dal crepitio dei muri ._\._\._\

Comincio col decapitare le alici e liberarle delle loro putride interiora


Una lama ed altre ovvie armi per un delitto ... le solite quelle di base: olio, aglio, cipollotto


lo sfrigolio dell'olio attira una decina di alici, 3 pomodori, un po' di peperoncini verdi ed un ciuffo  di timo


i pomodori seguono la sorte delle alici e vengono svogliatamente fatti a pezzettoni mentre i peperoncini seviziati a rondelle.
Nell'olio bollente finiscono, uno dietro l'altro, il cipollotto, l'aglio... dopo un po' i peperoni e per finire i pomodori col timo. Non resistono per più di dieci minuti, ma, poco prima e senza pietà, si tuffano le alici o quel che ne resta. Tutto questo si consuma mentre a poca distanza, in acqua e sale, perisce la pasta, ovviamente di Gragnano




un mazzetto di basilico pone fine al martirio

26 aprile 2010

risotto al limone, gamberi e burrata

Lo so, lo so, lo so. La ricetta non è mia ma di Maura Gosio del ristorante La piazzetta di Ferno (VA). 
So anche che lei ha una stella Michelin, cucina per mestiere oltre che per passione.
Io non cucino per mestiere e neppure per dovere. Solo per le persone a cui voglio bene (per me sola poco - traete voi le conclusioni) e solo quando ne ho voglia.
In questo fine settimana ho sperimentato due nuovi piatti e il primo è questo risotto.
L'ho trovato buono e ve lo propongo. Le dosi sono per due.
Servono:
brodo vegetale
due tazze di latte parzialmente scremato (lei usa panna)
riso vialone nano (due pugni a testa più uno per la pentola)
riso basmati un pugnetto
4 gamberi (scampi non ne avevo!)
una burrata
uno scalogno
uno spicchio d'aglio. capperi sotto sale
un limone
olio extravergine sale pepe
--
La cucinetta milanese non è affatto attrezzata e quando mi cimento in qualche piatto lì, manca sempre qualcosa In questo caso, guarda un pò, mancava il forno. 
Si dovrebbero far seccare i capperi salati in forno a 100° per mezz'ora, eliminare i sale sfregandoli fra le mani e passarli fino a ridurli in polvere.
Io ho semplicemente eliminato il sale e li ho tritati a coltello ikea (così è, che vi devo dire?).
Nel frattempo si cuoce il basmati nel latte, per circa 10 - 15 minuti e poi lo si frulla in crema.
Si procede quindi con il risotto: nel brodo vegetale si unisce il succo di limone, si fa soffriggere lo scalogno tritato in un filo d'olio d'oliva, si unisce il riso tostandolo per un minuto e lo si porta a cottura aggiungendo il brodo poco alla volta. Si sala se serve.
Intanto si sgusciano i gamberi e si fanno saltare in un filo d'olio caldo insieme a uno spicchio d'aglio.
Si manteca il risotto con due cucchiai di crema di basmati (questo è un vero colpo di genio, secondo me). Lei unisce anche parte della burrata per mantecare, ma io ritengo che si ottenga un risultato migliore guarnendo ogni porzione con una quenelle di burrata. Il suo gusto delicato si fonde alla perfezione con il riso  e non si perde nella mantecatura.
Si pongono sul piatto anche due gamberi, una spolverata di capperi tritati e di scorza di limone grattugiata. Mi domando se una macinata di pepe sia eretica. Forse sì, il cappero ha un sapore forte che contrasta la dolcezza di tutti gli altri ingredienti.
--
Spero che ViPeron e GeppetNo vogliano provarlo - assicuro un ottimo successo.

Questo piatto vi è stato presentato dall'alter ego serio della Povera Pazza, abitata, come Pessoa, da una moltitudine di personaggi che si alternano sul palcoscenico della sua vita.
Nello scorso post avete conosciuto il Critico d'Arte (fasullo), in questo l' Antonella Clerici dei poveri.
Chissà quanti ne mancano.
Il Critico Cinematrografico amico del Critico d'Arte ha visto Mine Vaganti e si è divertito, anche se ha notato che si mangiava sempre senza capire cosa. Pensare che in Salento la Povera Pazza herself, il ViPeron e Amedeo si erano fatti delle belle mangiate (almeno quelle!!).

23 aprile 2010

Natura morta con peperoncino - Giovanni da Ragusa, detto Pirriedu - ca. 2010


Opus magnum dell'artista. Grassi animali e fibre vegetali su tela.

Autorevole esponente del Movimento Autarchico, Giovanni da Ragusa, detto Pirriedu, con pochi semplici tratti, ha saputo mirabilmente esprimere il suo legame con la terra, qui simboleggiata dai carciofi (con ogni probabilità provenienti dal Pizzidu), insieme a suggestioni diremmo  più urbane e conviviali come le provole (di fattura artigianale) e la salsiccia al finocchio selvatico, che sanno evocare serate di bevute nelle taverne ospitali della sua bella terra.
Non dimentico delle tradizioni familiari poi, Pirriedu ci ha lasciato un peperoncino tondo seccato e intrecciato in ghirlanda dalle abili mani della sorella Sara.

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19 aprile 2010

Zuppa speziata di lenticchie rosse: comfort food made in India

Comfort food (cibo-consolazione), ovvero, ciò che scalda il cuore attraverso il gusto. Cibo che lenisce malanni e  tristezza o che, piuttosto, evocando, riempie di nostalgia.

La categoria astratta del comfort food dà vita a un caleidoscopio di svariatissime realizzazioni nelle cucine del mondo. Va da sé che la consolazione degli uni può spesso incarnare il più nero incubo degli altri: si pensi all'isaw filippino, un amatissimo cibo di strada costituito da intestini di pollo bolliti, o, di contro, a un delizioso,  filante trancio di pizza margherita nostrana, veleno per le centinaia di milioni di cinesi intolleranti al lattosio!  Le zuppe sembrano però essere fonte di consolazione per i palati di mezzo mondo: le nostre nonne ci hanno preparato taniche di brodini e consommè di pollo per alleviare tossi e raffreddori; i giapponesi si rinfrancano con la elegante zuppa di miso; persino gli americani, il cui cibo-consolazione è spesso contiguo al junk food (cibo-spazzatura), si deliziano con una strepitosa zuppa di vongole: il famoso clam chowder del New England.

Dai natali partenopei ho ereditato un ricchissimo carniere di comfort food. In realtà, l’irrefrenabile sciovinismo gastronomico (sono sicuro che il migrante-alla-rovescia ViPeron prima o poi  vorrà elaborare sul tema) rende ogni napoletano fuorisede stucchevolmente sentimentale e propenso alla lacrimuccia ogni volta che le sue nostalgiche papille gustative incrociano il paradiso perduto di un qualsivoglia sapore di tradizione. Tuttavia, quella che mi accingo a descrivere è una deliziosa zuppa esotica che è il cibo-consolazione per eccellenza di milioni di Indiani e che, da quando l’ho provata, scalda anche il mio cuore, al pari di  un sublime manicaretto preparato dalle mani d’oro di mammà.

L’ingrediente di base della zuppa è la comune lenticchia rossa spezzata (masoor dal), un delicato legume dal gusto discreto che cuocendo perde persino quel suo deciso colore aranciato per assumere le tenui sfumature dell’ocra. Le spezie che ne esalteranno il sapore sono lo zenzero, la curcuma, un pizzico di asafetida in polvere (opzionale), semi di cumino, semi di coriandolo macinati e peperoncino rosso in polvere. Il procedimento è assai semplice (le dosi sono per quattro persone). Dopo aver abbondantemente risciacquato 200 grammi di lenticchie, poniamole in una pentola dal fondo spesso contenente un litro di acqua fredda e portiamo ad ebollizione. Aggiungiamo quindi un pezzetto di zenzero di circa quattro centimetri, non sbucciato e tagliato a metà longitudinalmente, insieme a mezzo cucchiaino da tè (2.5ml) di curcuma. Aggiungiamo infine un cucchiaino da tè (5ml) di sale, copriamo parzialmente la pentola e lasciamo sobbollire per circa 50 minuti, avendo cura di mescolare spesso e di rimuovere periodicamente la schiuma che si forma in superficie. La cottura prolungata dissolverà le lenticchie. Rimuoviamo lo zenzero:  la base della zuppa è pronta.


La speziatura della zuppa segue il metodo Baghar della cucina tradizionale indiana: poniamo in una piccola padella (preferibilmente di ghisa) tre cucchiai da tavola (45ml) di burro chiarificato (l’onnipresente ghee) e scaldiamo a fuoco vivissimo. Appena il ghee comincia a far fumo, aggiungiamo un pizzico di asafetida e, qualche secondo dopo, un cucchiaio da tavola (15ml) di semi di cumino. Lasciamoli sfrigolare per qualche secondo e versiamo un cucchiaio da tavola di semi di coriandolo macinati e un quarto di cucchiaino da tè di peperoncino rosso in polvere (chi non ama il piccante diminuisca la dose). Molto rapidamente, versiamo il contenuto della padella nella pentola contenente le lenticchie, mescolando e facendo attenzione agli schizzi! 

La zuppa va servita caldissima, guarnita da una generosa spruzzata di coriandolo fresco tritato  

Che consolazione! (GeppetNo - Photo by Renzo)

15 aprile 2010

the silence of the lambs - agnello e carciofi reloaded

Il giovedì da me si cena. Anche da voi, dite? Sì, ma qui si cena insieme. Di solito con il Ga e qualche altro amico storico. Mica per mettersi in mostra con virtuosismi culinari (ammesso di essere in grado di produrli), solo per fare due chiacchiere in santa pace.

Mangio carne molto raramente e solo se non posso farne a meno. Non la so neppure cucinare, a dir la verità. I miei ospiti sanno che da me troveranno becchimi di vario genere, verdure - meglio se poco cotte - ma carne mai.
In uno slancio di generosità (?) e complice una ricetta della Cucina Italiana, la mia ultima cena del giovedì ha avuto come piatto principale le polpette. Di agnello e con i carciofi. 
Servono, per otto polpette grandi: 400 gr di polpa di coscia d'agnello, 100 gr di pancarrè senza crosta, 4 carciofi, 3 cipollotti, latte, yougurt greco, panna fresca, vino bianco secco.
Si mondano i cipollotti, lasciando un pò di parte verde. 
Si tagliano a spicchi i carciofi  e i gambi a rondelle,tuffandoli poi in acqua e limone. Si fanno stufare coperti per cinque minuti in un pentolino con mezzo bicchiere d'acqua ,  mezzo di vino e tre cucchiai d'olio. Poi si scoprono, si salano e si fa restringere il liquido di cottura per un paio di minuti.
Anche i cipollotti si fanno stufare pr due minuti in una noce di burro e un bicchiere d'acqua. Si salano, si aggiunge un cucchiaio di panna e mezzo di yogurt. Si uniscono poi ai carciofi e si lascia sobbollire qualche istante il tutto.
Nel frattempo si preparano le polpette, mettendo nel mixer la carne tagliata a dadini, il pancarrè ammollato nel latte e strizzato, un ciuffetto di prezzemolo, mezzo spicchio d'aglio, un cucchiaio di panna e due di yogurt, sale  e pepe.
Si modella il composto in otto polpette dalla forma un pò allungata, e si incipriano (direbbe Viperon) con un velo di farina. Si rosolano su entrambi i lati in una padella in poco olio e burro spumeggiante. 
Infine si uniscono alle verdure, lasciando insaporire per qualche minuto.

14 aprile 2010

soba noodles con quel che c'è - to Norio

Dove sarà il cinabro?

Da qualche parte si sarà pure cacciato! Non si mangia, no, ma mi serviva per apporre il mio yin, il sigillo rosso, unico elemento colorato nel bianco e nero dello shodo, l'arte della calligrafia giapponese. Il cinabro è una pasta in cui si intinge la pietra saponaria incisa con i propri caratteri.
Norio è stato il mio maestro, lui mi ha ribattezzata "piccola - piccante"  e gli sono grata da allora. L'esperimento estetico-culinario di oggi è dedicato a lui. --Sono stata profetica, evidentemente. Quando ho scritto il post ancora non lo sapevo, ma nel numero di maggio di Marie Claire Maison c'è un lungo articolo dedicato a lui. Onorata. -
I soba noodles sono belli. Li ho comprati per questo, attirata da quel loro coloretto così fotogenico e dalla confezione elegantissima. Son ragioni puramente gastronomiche, come si può ben comprendere!
Mai cucinati prima questi spaghettini, quelli di riso e di soia sì, ma questi mai. E il grano saraceno lo conoscevo solo in forma di pizzocchero, dunque mi aspettavo un gusto un pò rustico e valtellinese.
Niente affatto, questi sono neutri, li puoi cucinare con tutto ciò che vuoi, non coprono i sapori.


Il titolo della ricetta la dice lunga sulla sua elaborazione scientifica: guardare dentro al frigo, scovare ingredienti che potrebbero star bene insieme, cuocerli e montare il piatto.
Da me si trovavano:
spring onions, i cipollotti che, forse, sono l'unico ingrediente davvero indispensabile
zenzero fresco
un peperone giallo
qualche carotina
tre zucchine piccole
salsa Teriyaki
un trancio di pesce spada.
Saltare in un wok i cipollotti e qualche centimetro di radice di zenzero tritata, aggiungere prima le carote e il peperone a bastoncino, dopo un paio di minuti aggiungere anche le zucchine e un poco di sale, far cuocere a fuoco vivo ancora un paio di minuti (le verdure devono rimanere croccanti).

13 aprile 2010

Frittelle d'acacia

Per cominciare m'è venuta alla memoria (oramai fatto straordinario) una poesia di Montale.

"Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere...."

Non essendo cuoco laureato anch'io vi invito ad avviarvi per fossi erbosi.  E non solo per immagini.
I fossi erbosi sono infestati da alberi d'acacia (credo che si chiami robinia in verità) che fioriscono generosamente (copiosamente direbbe Amedeo Bolinari) tra aprile e maggio. Il fiore è un grappolo bianco,
dal profumo dolce, intenso ed insistente.



I grappoli bianchi sono lo scheletro della frittella. Per la loro raccolta dovreste andar per fossi.
Mi sentirei di scosigliarvi la vendemmia presso un'isola di sosta della tangenziale o nella prossimità di una delle tante e ricche discariche abusive campane (lo dico almeno per quelli di voi che non cercano le 'contaminazioni' gastronomiche a tutti i costi).

I grappoli non vanno lavati per mentenere integra la loro fragranza. La loro morte è per affogamento in una pastella dolce fatta con latte, uova, poco zucchero, un pizzico di sale e poca farina.
Per le dosi rimando alla categoria metafisca del 'vi regolate' già teorizzata da zia Mariuccia.  L' impasto non vuol essere ne' troppo liquido ne' troppo denso. Sconsiglio l'aggiunta di aromi altri per non offuscare la fragranza del fiore.



Ciascun grappolo impastellato (per avere una frittella meno anoressica ci si può servire di un cucchiaio per raccogliere  piu' pastella insieme al fiore) verrà fritto in olio di semi (arachide) avendo l'accortezza di far dorare la frittella senza carbonizzarla.

Le frittelle vanno passte sulla carta assorbente e incipriate di zucchero a velo.



E' un semplice dolce che può creare sorprendenti effetti 'addictive'. In un tempo di globalizzazione imperante, per poterlo preparare, dovrete aspettare l'unica settimana all'anno in cui le robinie fioriscono. La vecchia
cara amica Ema (condivisa con la Povera pazza) dopo averle assaggiate una prima volta maturò una morbosa dipendenza che la costrinse, in attesa della nuova fioritura, a sgranare il lento susseguirsi dei giorni come un interminabile rosario. (ViPeron)

5 aprile 2010

Come piselli in un baccello - zuppetta primaverile

















Cari amichetti , oggi, complice la primavera, decido di provare a imparare a fotografare. Risultati scarsi, ma, visto che si sperimenta, l'occasione è buona per far posare il pisello fresco e la tazza verdolina appena comprata con la precisa intenzione di usarla come contenitore di luculliane ricette.
Ora, non che questa sia luculliana. No no no! Salutista abbastanza e molto primaverile però si.
Ma procediamo con ordine: qualche giorno fa avevo letto di una zuppetta primaverile qui:s pring english pea, potato and rice soup. E mentre ve lo dico, astutamente (!) imparo a inserire link e fotografie..














La ricetta non è una vera e propria ricetta. Chi non sa fare una minestra di riso e piselli, dai! Persino la mia mamma ce la cucinava. Ed è tutto dire. Forse lei non ci metteva l'aglio, anzi, non ce lo metteva di certo.
Chi mi conosce sa che il mio cruccio (uno dei tanti) è di non avere una madre cucinante.
O meglio: cucinante per sopravvivenza, ma senza il piacere della creazione, seppur modesta. La mia deve essere stata una reazione, credo. Mai fare due volte la stessa ricetta (esagero, ma è quasi vero) forse mi viene da lì, dall'aver mangiato per anni  le stesse minestre. Commestibili, per carità, ma tristi!
Da allora ho sempre sperimentato, con alterne fortune, cucine più o meno (soprattutto meno) tradizionali, per curiosità, per il gusto della scoperta.
Da oggi lo condivido con voi, se vorrete.
PP (povera pazza)

Del come e del perchè


Oggi niente cibo scritto, ma una piccola spiegazione.
L'idea di un blog di cucina nasce una mattina in treno. Una di quelle idee che ti sistemano la giornata. Ricordo che, in coda per la rituale firma del libro di Sigrid  tutti mi chiedevano: hai unblog di cucina? No, perchè? E allora: perchè no?
La cucina è una passione ormai consolidata che mi accompagna da molti anni. E' passione condivisa, anche. Adriano è stato un compagno di pasticci (miei) e cene perfette (sue), di crisi di nervi  ante-arrivo-ospiti (di entrambi) ma anche di rilassate chiacchiere con un bicchiere in mano.
La vita ci ha divisi, non viviamo più nella stessa città. Questo sarà il diario dei nostri esperimenti, un modo di cucinare ancora insieme in spirito, se non di fatto.
A Geppino ricordo di aver cucinato, una vita fa, le alici a scapece, antipasto di una cena estiva in balcone (allora non avevo terrazza..). Sergio invece ha preparato per me (mi piace pensarlo almeno) un semifreddo-con-sorpresa di cui ha promesso posterà la ricetta.
Abbiamo bisogno del loro sguardo obliquo e della loro ironia per essere un vero gruppo.

foto: due dei quattro isterici aperitivano da "kroll".