"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

29 settembre 2010

ปลาหมึก - calamari un po' thai e digressioni sulla colatura

 
 Il mercato comunale di piazza XXIV Maggio mi rovina.
Trovo molto divertente la multietnicità di venditori e compratori, trovo irresistibile che sia più facile trovarci la patata dolce dell'ossobuco (possibili entrambi, però), adoro il contrasto tra la vecchina - certa istituzione del luogo - e la deliziosa famiglia cingalese nuova arrivata. 
Ci faccio spesso un giro i sabato mattina.
Stavolta  ho comprato la salsa di pesce thailandese: il demone della scienza (sì, vabbè) mi ha imposto di compararla alla colatura di alici.
La prova sperimentale, consistente in una gran bella annusata, ha dimostrato che quella thai puzza ben di più. La prova dell'eurino ha invece dimostrato che costa ben ben meno (1 soldino per 250ml).
Credo che il processo produttivo di entrambe sia simile, anche se il prezioso liquido campano deve di certo essere più raffinato. Sempre di acciughe e sale si tratta, però, lasciate fermentare in botti in un caso e in cassette di legno nell'altro.
Attendo gli strali dei miei co-blogger napoletani e anche di tutti gli altri campani cucinieri sofisticati.
Son pronta, partite con la lapidazione.
Faccio in tempo a lasciarvi  la ricetta della ciotolina in foto (per quattro)?:

- calamari 750 gr (il mio era un calamarone-monstre)
- 250gr di pak choi (o bietina nostrana)
- mezzo peperone rosso
- una manciata di fagiolini mondati e sbianchiti
- una cipolla bianca piccola
- due cm di zenzero grattugiato
- uno spicchio d'aglio intero
- il succo di un lime
- un peperoncino fresco
- un cucchiaio di olio di sesamo e uno di aceto di riso
- un cucchiaio  di salsa di pesce thai (eccola qua)
- un cucchiaino di zucchero 
- un cucchiaio di amido di mais

Tritare la cipolla e farla saltare con zenzero e aglio in un cucchiaio di olio di sesamo e uno d'oliva.
Tagliare a striscioline il pak choi e il peperone.  Unire tutte le verdure al soffritto e lasciare insaporire per pochi minuti. Nel frattempo tagliare a losanghe il calamaro e inciderlo con la punta di un coltello per renderlo vezzosamente orientale (e farlo cuocere prima, con ogni evidenza). Unirlo alle verdure e saltare mentre si prepara il condimento. In una ciotola mescolare la salsa di pesce, l'aceto di riso, il lime, il peperoncino a striscioline, lo zucchero e l'amido di mais stemperato con due cucchiai d'acqua.
Versare la salsa su pesce e verdure e far restringere a fuoco moderato.
Servire con riso bianco d'ordinanza.
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Il buon proposito della settimana è: provare a fare qualche dolce  (senza poi mangiarselo tutto).
Parola di lupetto.
(PoveraPazza)









27 settembre 2010

taste è un assaggio


Massimiliano Mariola

Alla fine ci sono andata a Taste. Vabbè, avevo già i biglietti ma, dopo tutto ciò che avevo letto, lo spirito non era proprio dei migliori.
E invece mi sono divertita. Domenica era una bella giornata, faceva caldo, le code erano brevissime o inesistenti, ho sentito parlare e ho visto cucinare personaggi interessanti.


Certo le porzioni erano assaggi, certo non c'era (quasi) posto a sedere, certo che andare nei ristoranti stellati è altra cosa rispetto al picnic al parco.
Però, almeno domenica, mi è parso che lo spirito di avvicinamento all'alta cucina sia stato centrato.
Carciofo del Liberty
Ci si fa un'idea, si prende qualche spunto. Quando si fa un viaggio non si pretende di capire un paese in due settimane. Come non si può capire la filosofia di uno chef in mezz'ora di chiacchiere.


tortello di grano arso di Aimo e Nadia
Qualcosa non mi è piaciuto: il riso di Cracco era assolutamente dimenticabile.
Invece i piatti del Trussardi alla Scala sono piaciuti a tutti noi amichetti (e Andrea Berton è una persona squisita). Tocca mettere da parte i soldini per andare a toccare con mano..
Sadler e il suo executive chef


Claudio Sadler gioca con il Tete de Moine
Matteo Torretta
Matteo Torretta, del Savini, peraltro molto simpatico, ci ha cucinato un risotto alla cannella che mi si è posato come un macigno sullo stomaco fino a sera.
Interessante la cannella, eccessivo il condimento.. Del porco non vi so dire perchè l'ho devoluto, essendo quasi del tutto erbivora.
.. a fine giornata: la folgorazione sulla via della Cucina!

(PoveraPazza)

24 settembre 2010

ritorno alle origini - pesce e sale



Oggi è stata una giornata un pò così. Il sole non s'è visto ed è piovuto. Ma non è l'unica ragione di depressione: ho comprato da settimane i biglietti per lo stramaledetto Taste e tutte le impressioni sono state concordi. 
APOCALISSE.
Mi pare una bella occasione sprecata, oltre che soldi (miei) gettati.
Vabbè, cerco di digerirla e domenica andrò armata di macchina fotografica per catturare le aberrazioni del luogo. Magari riuscirò pure a divertirmi, se non a mangiare, ispirarmi o ammirare.

Quando un ristorante mi delude profondamente mi dico che mangio meglio a casa. Magari è la storia della volpe e l'uva, ma spesso è vero.
Cucino in modo poco elaborato, con cotture brevi e usando pochi condimenti, in modo da esaltare il sapore delle singole materie prime.
Il pescione di queste foto,  ad esempio, è stato cotto semplicemente nel sale.

Una spigola da un chilo, due chili di sale grosso (integrale eccetera eccetera), 50 grammi di erbe miste tritate, un mazzetto di timo, un filo d'olio.
Si pulisce il pesce ma non lo si squama. Si asciuga accuratissimamente per evitare che l'umidità faccia sciogliere il sale, lo si imbottisce con un mazzetto di timo.
Si mescola accuratamente il sale con le erbe tritate, in modo che il colore diventi omogeneo.
Si cosparge il fondo di una pirofila con uno spesso strato di sale, si adagia il pesce e lo si seppelisce nel resto del sale. Lo si cuoce in forno a 180° per quaranta minuti.
Il sale formerà una corazza dura ma di facile rottura e tutti i segreti del pescione resteranno racchiusi nel guscio. Un pesce-tartaruga.
A cottura ultimata si spaccherà, si sfiletterà la spigola e la si condirà con un filo d'olio.
Fine della ricetta.

Servirà qualche amico, del vino, un'insalata fresca.

Semplicità al potere. Ritorno alle origini. Bontà.

Quando avrò finito di leggere "Se niente importa" può essere che smetta di mangiare anche il pesce. Mi godo questi ultimi momenti di ignoranza sull'acquacoltura e ne approfitto.
Buona fine di settimana a tutti.
(PoveraPazza)



 

22 settembre 2010

Breadsticks (molto più bread che sticks) con le mandorle

Qualche giorno fa i cubetti di lievito di birra si sono gettati nel mio cestino della spesa. Ho dovuto portarli a casa. Uno è stato immolato all'altare della brioscia sicula, l'altro, complice la ricetta di Sara, si è trasformato in bastoni di pane. O grissinoni. O piccolissimi sfilatini. Vedete voi cosa vi paiono queste cose qui:
Ho seguito la ricetta quasi alla lettera, non avevo il malto nè il sale affumicato (ma quello nero di Cipro) e li ho omessi. Per la prima volta nella mia vita ho comprato lo strutto, un affare bianchiccio e francamente ripugnante che pare irrinunciabile per dare friabilità a grissini, taralli et similia.
La confezione era da 500 gr, mi trovo dunque 'sto mattone di 470 gr in frigo che lascerò irrancidire (già sono rassegnata) a meno che ViPeron non venga da me a friggere le sue frappe/bugie/chiacchiere/crostoli per un carnevale anticipatissimo..
La ricetta:
- farina 00 250 gr, semola rimacinata 150 gr
- lievito di birra fresco 25 gr
- olio extravergine di oliva 6 cucchiai + un poco per spennellare
- strutto 30 gr 
- mandorle pelate tritate grossolanamete, una manciatina
- sale fino
- un cucchiaino di zucchero
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Stemperare il lievito in una tazzina di acqua tiepida. Impastare la semola con il lievito stemperato e tanta acqua quanta serve per ricavarne un panetto morbido (circa un dl). Sistemare il panetto in una terrina coperta di pellicola trasparente e lasciare lievitare per mezz'ora nel forno spento ma con la lampadina accesa (ormai il mio luogo tiepido sarà sempre questo).
Trascorso questo tempo impastare il panetto con la farina 00,  lo strutto, 6 cucchiai di olio d'oliva, un cucchiaio di sale e un cucchiaino di zucchero, le mandorle e tanta acqua quanta la massa ne richiederà per diventare liscia ed elastica (anche qui circa 1 dl).
Formare un filoncino, spennelarlo d'olio e lasciarlo lievitare fino a quando avrà raddoppiato il suo volume (un'ora abbondante).
Riprendere l'impasto e ricavarne dei filoncini non troppo sottili - ma anche più sottili dei miei- e formare i vermini-grissini (è la parte di gran lunga più divertente). Per chi fosse pratico dell'argilla è come fare il colombino, solo che poi si mangia il risultato!
Avendo del sale esotico, dei semi di sesamo, papavero, senape, cospargere i vermini premendo un poco per farli aderire bene.
Lasciare ancora riposare per trenta minuti, quindi cuocere in forno a 200° in una teglia coperta di carta forno fino a quando non saranno dorati (una ventina di minuti dovrebbero bastare).
Lasciar raffreddare e consumare in un tempo abbastanza breve altrimenti diventano mollicci e sono più simili a pane vecchio che a grissini, ecco.
Buoni son buoni. Io sarò fissata ma lo strutto lo sentivo. Magari la prossima volta li rifaccio senza, eh..
Van bene per accompagnare le pietanza ma acquisteranno una dignità maggiore se sgranocchiati all'aperitivo. Garantito.
(PoveraPazza)

19 settembre 2010

sondaggio






Numero D: calamari
Care amiche, amici cari. Uno scherzetto per voi.
Numero B: riso integrale
Numero C: spigola
Quale ricetta volete vedere prossimamente qui? Oddio, le pubblicherò tutte prima o poi. Ma quale volete vedere PRIMA?
Numero A - bastoni di pane (hihihihi)

Suvvia, non fatemi mancare a vostra augusta opinione. Ogni vostro desiderio è un ordine.

 (PoveraPazza)

15 settembre 2010

ma ti sto sullo stomaco?



Ovvero come cucinare, mangiare e, guarda un pò, DIGERIRE, verdurine pericolose come peperoni e cipolle.


Non so perchè debbano esistere vegetali belli, buoni, che fanno bene e ma non si digeriscono. A rigor di logica non si dovrebbe digerire la sugna, il salame con l'aglio, chessò la carne di gnu marinata nel baobab. Dura la vita del salutista pseudo vegetariano.
Per fortuna ci sono sistemi per rendere digeribile ciò che non lo è (molto).
Mammà mi ha suggerito anni fa un metodo infallibile: saltare il peperone in pochissimo olio, a pezzettoni e per pochi minuti in modo che resti croccante. Aggiungere un cucchiaio di aceto balsamico e salare. In questo modo diventano commestibili anche per il mio stomachino, e si possono servire sia caldi che freddi. L'aceto balsamico non è acido, dunque gli infidi ortaggi così preparati possono essere un contorno abbastanza versatile, da abbinare a formaggi, uova e carne.



La cipolla per me è ancora difficile. Non parlo di quelle enormi, dolcissime e assolutamente digeribili che si trovano a Giarratana, in provincia di Ragusa. Dico le cipolle bianche, rosse, dorate, i cipollotti freschi, lo scalogno. Niente, quelli ripropongono.
Ma.
Un paio di grosse cipolle bianche, meglio se fresche, stufate a fuoco dolcissimo con un goccio d'acqua fino a quando non sono tenere  senza olio senza sale senza nulla, sono la base perfetta per la frittata, deliziosa, dolce ma letale se cotta diversamente.
Non v'è chi non sappia fare una frittata, dunque non vi spiegherò che ci vorranno quattro uova leggermente battute , un pizzico di sale e del pepe nero. Nè vi dirò di tentare la sorte e girarla al volo a metà cottura!

Servire, per essere davvero temerari, le due preparazioni combinate, tiepide. Con il bicarbonato a portata di mano!
(PoveraPazza)

14 settembre 2010

quattro profumi per un pesce (marin-ato)

Avere un blog di cucina presuppone un certo impegno ai fornelli. Dedizione, studio, creatività.
Però.
Ci sono giorni in cui la dedizione latita, altri in cui la creatività è pari a zero, altri ancora in cui tutto ciò che hai studiato in anni e anni di scuole di cucina non ti serve a nulla.
Per esempio una domenica mattina post concerto, apri il frigo e ti accorgi che l'ingrediente che il tuo fedele scudiero avrebbe dovuto procacciarti NON C'E'. Le capesante, ubi sunt?
 Non si son potute trovare, sostituite da tonno fresco che avevamo tutti pensato di non mangiare più, come il cugino in scatola. Ormai c'è, se ne dovrà fare qualcosa. Il solito tonno-scottato-al-sesamo ha fatto il suo tempo, dice lo scudiero. Vabbè, mariniamo e intanto pensiamo all'India anche se con la marinata non c'entra niente e non c'è neppure l'ombra di un curry in giro.

Per la marinata: succo di un lime, 2 cm circa di zenzero grattugiato, un cucchiaino di semi di coriandolo pestati, peperoncino in polvere, un cucchiaio di olio di sesamo.
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Adagiare il pesce (in questo caso tonno, ma immagino che tutto il pesce con una certa consistenza andrà bene) nella marinata,  coprire con una pellicola e lasciar riposare in frigo fino a che non saranno pronte le verdure (una trentina di minuti).
Far saltare brevemente e in poco olio le verdure di cui si dispone (peperoni, cipolla, zucchine ad esempio).  Nella stessa padella, scottare per 3-4 minuti per parte i tranci di pesce, fino a quando coloriranno leggermente. Salare e pepare. Servire con le verdure preparate e del riso basmati semplice.

 E' risultato un piatto allegro e profumato, in linea con la temperatura - per fortuna - ancora estiva.
Mica vi pentite, se lo fate.
(PoveraPazza)




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10 settembre 2010

mistificazione di tacchino

Volevo principiare con questo post l'enclave della cucina d'acchiappo. Ma chi ha acchiappato con questo sformatino è la nostra PoveraPazza (già so che la memoria moralizzatrice la farà sperguirare). Lancio allora il sasso nello stagno e nascondo la mano rimandando al futuro i miei amari casi di cucina seduttiva.
Se siete in vena di mirabili mistificazioni questo è il post giusto. Il tacchino citato nel titolo è talmente manipolato da mascherare ogni evidenza di tracciabilità rispetto al pennuto del thanks giving. Se non vi tradite con una didascalica elencazione degli ingredienti, la salsa vegetale copre con una coltre di menzognera leggerezza la materializzazione dell'apporto calorico utile per affrontare un paio di giornate di lavoro in miniera. E non ultimo, potete tirarvela a buon mercato come praticanti di cucina sofisticata.
E' un cavallo che scorrazza nelle mie tavole come il quadrupede bianco della Vidal da almeno 15 anni e che, esperienza rara nella vita, non m'ha mai schiaffeggiato con uno sfacciato tradimento.


Lo sformatino è un sarcofago rosato di tacchino omogeizzato che cela un composto di piselli e funghi, coperto da una salsa di scalogno. Se proprio siete degli impuniti lo fate ergere come una ziggurat in un piatto bianco che si distende ampio come una spianata mediorentale. E cinecittà è servita.

Per circa 6-8 sformatini.

Per il sarcofago si deve frullare mezzo chilogrammo di polpa di tacchino con 300 ml di panna liquida fresca, due albumi d'uovo, sale e pepe. Le vestali del Kitchen Aid o le sacerdotesse del Kenwood, come le vergini sagge, non si troveranno impreparate (il Bimbi non lo cito per non provocare scomposte reazioni dei miei coautori).
Io mi arrangio, non senza diffficoltà, con un minipimer. Non è infrequente che brandendo il fallico attrezzo con mimica onanistica, quando il composto si fa più vischioso, l'operazione  non trovi soddisfacente epilogo per il surriscaldamento delle meccaniche. Le lame smettono di ruotare e simultaneamente inizierà a girarvi la guallara (in senso metaforico o fisico a seconda del corredo genetico).
I vecchi modelli di minipimer erano infaticabili. Preferivano schiattare come kamicaze giapponesi piuttosto che lasciarvi a lavoro incompiuto. Le nuove generazioni no. Appena percepiscono un affanno si bloccano e voi aspettate che si riabbiano con tutto l'agio necessario (il loro naturalmente). O tempora o mores.

Prendete degli stampi di ceramica del diametro di 8-10 cm. Gli stampini vanno imburrati e le pareti unte vanno cosparse con un trito di erba cipollina (è un dettaglio molto importante).
Le pareti e il fondo vanno poi rivestite con l'omogeneizzato riservanndone una parte per coprire poi ciascuno stampo con una calotta dopo che la farcia è stata inserita.

Per la farcia 100-150 g di pieselli sbollentati, 100-150 di funchi champignon tagliati a lamelle, un cipolloto di buona dimensione (il cipollotto è più delicato della cipolla).
In una padella con una noce di burro si deve far appassire il cipollotto tritato unendo per pochi minuti i piselli e i funghi. Salare e aggiungere della paprika dolce. Si unisce poi della panna liquida fresca (150-200 ml) ed un uovo battuto amalgamando per pochi secondi il composto spenedo quasi immediatamente il fuoco.
La farcia va distribuita negli stampini rivestiti di omogeneizzato e tappati con la calotta di omogeineizzato.

Gli stampini vanno coperti uno ad uno con carta da forno bagnata e strizzata. La cottura va fatta in forno a bagnomaria per mezzora ad una temperatura di 200°.

L'ultimo passo è la preparazione della salsa di scalogno che viene ottenuta frullando due scalogni precedentemente lessati, due tuorli d'uovo lessati (gli albumi sono serviti per il tacchino), abbondante prezzemolo ed olio extravergine di oliva



Una volta cotti, immediatamente prima di servirli a tavola rovesciate gli sformati sul piatto e irrorateli di salsa di scalogno. La salsa di scalogno essendo amarognola si sposa con garbo al sapore più dolce dello sformatino. Usualmente li accompagno ad un pomodoro gratinato per giocare di contrasto cromatico.

(ViPeron)








7 settembre 2010

Hvarska gregada - guazzetto di pesce


Le vacanze sono finite, miei cari. Progettiamo già al prossimo viaggio (speriamo) e intanto ripensiamo ai colori e profumi che abbiamo appena scoperto.
La meta estiva è stata Hvar, un'isola della Dalmazia meridionale, che avevo voglia di conoscere fin dai tempi delle Lune di Hvar di Lalla Romano. Bella e mondana in un suo modo rustico e senza pretese.
Ci sono isoline minuscole, davanti a Hvar città, dove si va a far il bagno e ad annusare l'odore dei pini.
Non amo raccontare le vacanze, prendetevi giusto un assaggio di atmosfera e, se volete, del piatto tipicerrimo del luogo, la gregada.
E' uno stufato di pesce, come si trova in tutti i luoghi che hanno mare intorno e sopra e sotto.
Semplicissimo e veloce da fare, a patto di avere la materia prima fresca a dovere!
E' poco fotogenico, lo stufatino. Forse lo rifarò in versione più glamour, ma per il momento dovete prenderlo così com'è: pranzo da pescatori.
Gregada, per quattro persone:
1 Kg di pesce misto, quello che si è trovato nella rete o sul banco del pescivendolo, freschissimo (da noi c'erano orata, merluzzo, gallinelle ma andrà bene tutto)
4 cipolle bianche
4 patate grandi
prezzemolo, alloro, aglio
vino bianco
olio d'oliva
Il procedimento è davvero un non-procedimento: si pulisce il pesce lasciandolo intero o eliminando la testa (lì a me l'hanno portato intero e così l'ho riprodotto), sbucciare patate e cipolle e tagliarle a rondelle non troppo spesse.
Sul fondo di un tegame abbastanza largo da contenere il pesce comodamente, porre in un filo d'olio le cipolle l'aglio, una foglia di alloro e far andare per un paio di minuti. Disporre il pesce sopra, in uno strato unico e far andare ancora.
Nel frattempo sbianchire le patate in acqua bollente salata e poi trasferirle sopra il pesce.
Bagnare con circa 200cc di vino bianco e lasciare evaporare l'alcol. Aggiungere tanta acqua quanta serve per coprire appena il pesce e le verdure. Non mescolare mai, scuotere leggermente il fondo del tegame, se serve. In questo modo il pesce resta intero. Aggiustare di sale e pepe.
Serviranno venti minuti per portare a cottura il tutto. Spolverare di prezzemolo tritato, lasciar riposare qualche minuto per far amalgamare i sapori e servire.
Con questa ricetta partecipo alla raccolta fornelli in vacanza di Cook and the City (ciao Sara!).



Stari Grad
Uccellino!!
Hvar
Vi lascio qualche scatto assortito dei villaggi e della loro atmosfera medievale.
Andateci, vale la pena. E il mare è blu-blu!
(PoveraPazza)

Stari Grad

Stari Grad

2 settembre 2010

verdure verticali al forno

Settembre mi piace. Il cielo è limpido, l'aria frizzantina, la luce brillante. Ancora -per poco- estate, ma con una punta di malinconia autunnale.
Ho voglia di colori squillanti, indossati e mangiati, prima del marrone-fungo di ottobre.
Se poi ci sono ospiti da nutrire, inventiamoci un piatto da preparare inanticipo, così lo trovano per pranzo e l'organizzazione è minima. Siamo pure sempre in clima di ripresa lenta, ma lenta.
Dunque verdure verticali.
Per una teglia di dimensioni normali io ho usato:
4 melanzane lunghe
5 pomodori tipo San Marzano, maturi ma sodi
4 zucchine non troppo grandi
una manciata di olive taggiasche
timo e santoreggia
4 fette di pancarrè senza crosta
qualche foglio di carta da musica
qualche cucchiaiata di formaggio grattugiato (nel mio caso Ragusano)
un filo d'olio
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A voler essere proprio precisi le melanzane andrebbero salate e lasciate sgocciolare ma io non lo feci e son venute buone uguale.
Il procedimento è intuitivo: tagliare tutte le verdure a rondelle spesse
Sfogliare timo e santoreggia
Tritare il pancarrè dopo averlo privato della crosta, mescolarlo alle erbe e al formaggio
Ungere d'olio una teglia, foderare il fondo con la carta da musica e poi comporre degli ziggurat alternando le verdure al pane, secondo il vostro estro e finendo con quest'ultimo e un'olivetta che poi rovinerà al fondo appena muoverete la teglia, ma vabbè.
Condire con poco sale e un filo d'olio e infornare a 180° per una ventina di minuti.
A me erano avanzate verdure già tagliate e le ho sparse sul fondo della teglia, così, per non lasciarle da sole.
In cottura mi aspettavo che melanzane e pomodori avrebbero rilasciato la loro acquetta di vegetazione (da qui la carta da musica raccogli-umido).
Così non è stato, dunque a metà cottura ho bagnato con un dito d'acqua e bene ho fatto.
Servire tiepido, caldo, freddo, come vi pare.
(PoveraPazza)
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Ho caricato le foto ieri ma era già tardi.. Mica è sfuocata quella sopra?  Mi sa che stasera la cambio..