"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

25 dicembre 2010

torno, oh se torno

 

citando Bruce Chatwin, lascio una nota laconica : "gone to India for a couple of weeks".
Intanto, divertitevi e fate circolare le idee.
Abbracci a tutti.
(PoveraPazza)

22 dicembre 2010

20 dicembre 2010

Il cimento dei friarielli



Pasta con Salsiccia e Pesto di Friarielli

[Quel che più mi affascina della ricerca di molti chef emergenti è l'uso di prodotti locali poveri e di facile reperibilità. Questa sera mi sono cimentato nel riprodurre una ricetta trovata in rete]

Apprezzare il gusto di questa verdura è stata una conquista dell'età adulta. Parlando con il Viperon,  l'altra sera, riflettevo sul fatto che gran parte di quel che comunemente si mangia dalle nostre parti non ha mai incontrato quel che era il mio gusto di bambino. Non amavo nessuno dei dolci tipici napoletani ne' di natale, ne' di pasqua, ne' di nessuna altra festa comandata. Mangiavo mal volentieri il pesce, tranne calamari o gamberi in insalata o fritti. Odiavo il pomodoro crudo che ancora oggi fatico a mangiare. Insomma  un vero rompiscatole.
Ricordo il gusto amarissimo dei friarielli che crescevano spontanei lungo i terrazzamenti della (una volta splendida) campagna dei miei zii sul crinale del vulcano di Cigliano. La campagna si apriva su  magnifici scorci panoramici del golfo di Pozzuoli, spaziando, nei giorni di chiaro oltre ad Ischia fino a Ventotene, il vino ricordo che era conservato in cellai ricavati in edifici romani ipogei. Quel gusto, che detestavo, non l'ho mai più ritrovato nella verdura che compro oggi, ma ora mi piacerebbe riscoprirlo.
Come pure mi piacerebbe ritrovare la bellezza e l'allegria delle scorribande con i miei cugini, tra le piante di frutta le viti ed i filari di castagni che segnavano i confini delle varie proprietà. Il gusto cambia si evolve, il territorio invece, almeno da queste parti, si degrada: la campagna della mia infanzia è abbandonata, frammentata e cementificata.

Ecco quel che ho fatto stasera:
  • Ho mondato  i friarielli (poco più di un fascio) dalle foglie gialle e rovinate
  • Ho messo da parte alcune cimette
  • Ho fatto cuocere per tre minuti la verdura in acqua bollente e salata
  • Conservo l'acqua di cottura della verdura per cuocere successivamente la pasta
  • Con il minipimer ho frullato i friarielli con un mestolo di acqua di cottura unendo dell'olio a filo come per un pesto
  • Ho spadellato, per pochi minuti, in filo d'olio ed un po' di peperoncino le cimette messe da parte 
  • Ho spellato una salsiccia di circa 150gr e l'ho fatta rosolare mettendone una metà da parte per guarnire il piatto il resto l'ho lasciato in padella
  • Ho fatto rosolare un po' di mollica di pane con un po' di aglio
  • Una volta cotta la pasta ( io ho usato bucatini) l'ho trasferita nella padella con le salsicce, ho fatto insaporire e poi versato, con il fuoco spento, il pesto di friarielli
  • Ho composto il piatto con la pasta condita una spolverata di mollica croccante ed un po' della salsiccia rosolata precedentemente messa da parte.    
  • [dosi per una porzione]
_Amedeo Bolinari_







il regalo giusto - non è troppo tardi

Per chi è alla ricerca di regali da fare in poco tempo, ma con le proprie manine, ecco qualche idea.

Sali aromatizzati con spezie ed erbe:
300 gr di sale fino (io toscano integrale) più due cucchiai di erbe/spezie a piacere.
Gli abbinamenti di quest'anno:
- matcha/sesamo tostato ,
- buccia di arancia e buccia di limone (essiccate in forno per 10 minuti a 60°)
- garam masala e semi di cumino tostati
- timo di produzione propria
- vaniglia bourbon e zenzero in polvere
- alghe di Bretagna
Con 300 gr si fanno circa 5 barattoli come quelli in foto.
Sull'onda dell'autarchia ho anche prodotto il mio primo dado vegetale senza essiccatore. Sono stati due giorni di passione, il forno, a 60° ventilato e leggermente aperto aveva invano alzato cartelli di protesta. Incurante, ho essiccato: un mazzo di bietoline, qualche gambo di sedano con le foglie, mezzo sedano rapa, una piccola cipolla di Tropea, due spicchi d'aglio, due carote e due zucchine.
Dopo i due giorni fatidici ho passato al mixer (che poi si è rotto- ma non a causa del dado eh), con lo stesso peso in sale fino.

Ancora qualche idea salata di cui si parlerà poi.
 
Pacchetti fatti, decorazioni natalizie (ehmm..io ODIO le decorazioni natalizie, dunque le mie sono stra-minimaliste) posizionate strategicamente in zone poco illuminate, e ora via ad organizzare la festa bevero-mangereccia di martedì.
(PoveraPazza)

16 dicembre 2010

cena di magro


Prima delle feste ci dobbiamo tenere leggeri. Passo serate a mangiare erbette bollite, riso bollito, minestrine sciape, un frutto. In questo macroinsieme si inserisce anche la zuppa ivi raffigurata.
Non vi impressioni la roba arancio: è commestibile!
Che serve, per due persone?
 1 aragosta da 1/2 kg circa, 200 gr di patate e 200 gr di topinambour, una tazza di latte, 1/2 litro di brodo vegetale, un piccolo scalogno, zafferano, maggiorana, sale, pepe, olio exv.
--
Fare andare in poco olio lo scalogno tritato finemente, aggiungere patate e topinambour, lasciare insaporire e coprire a filo con il brodo vegetale. Lasciare sobbollire fino a quando le verdure saranno tenere.
A parte lessare l'aragosta (la mia era già lessata), prelevare la polpa dalla coda e lasciare le chele intere.
Tagliare a dadini la polpa. Tritare un poco di maggiorana e lasciare intere alcune foglioline per la decorazione.
Intiepidire una tazza di latte, dopo averci incorporato la bustina di zafferano o una punta di cucchiaino di pistilli.
Passare al frullatore ad immersione la verdura: ne risulterà una crema densa, da allungare con il latte. Far restringere giusto un pochino, unire aragosta ed erbe.
Impiattare e decorare con le chele intere e qualche fogliolina di maggiorana.
-
E stasera: zuppa di tartaruga, after Babette! (mica è vero- che poi vengono gli animalisti a tirarmi le uova marce..)
(PoveraPazza)

14 dicembre 2010

Natale salato, ma non caro

Dopo il colpo di teatro di ViPeron, ritorno umilmente a raccontare i piccoli esperimenti della cucina a nordovest.
Quest'anno la mia produzione natalizia non sarà biscottifera. Dopo anni di zenzericanditi e dolci più o meno riusciti quest'anno son salata. A dire il vero ho prodotto abbastanza di recente alcune salse di accompagnamento ai formaggi.  Chutney mai, nonostante mi piaccia molto.
Di solito le chutney, salse agrodolci indiane a base di ortaggi frutta, spezie, aceto e zucchero di canna, accompagnano carne e pesce oppure il riso.
Questa ha completato del pecorino abbastanza stagionato .
La ricetta, non originale, è ispirata a quella che si trova nel  libro di Sigrid sui regali golosi.
Per due piccoli barattoli o uno grande:
2 pere, 1 mela, 1/2 cipolla (io di Tropea), 50 ml di succo di limone, 30 gr di zucchero di canna, 30 gr di uvetta, 5 cm di zenzero fresco, 20 ml di aceto di mele, peperoncino (io fresco), 5 chiodi di garofano.
Sbucciare la frutta e tagliarla a dadini. Tritare finemente cipolla e zenzero. Tritare anche, grossolamente, l'uvetta.
Portare a ebollizione il succo di limone con l'aceto, aggiungere zucchero, zenzero, chiodi di garofano e peperoncino. Unire poi gli altri ingredienti, salare e pepare e lasciar cuocere per mezz'ora, fino a quando il composto non sia morbido e quasi asciutto. Lasciare raffreddare e servire.
Come ogni salsa andrebbe lasciata riposare qualche giorno al fresco, prima di essere consumata.
Io l'ho portata ad una cena ancora tiepida.
Più riposa e più diventa piccante, badate.
(PoveraPazza) 

10 dicembre 2010

Al Sud (Prima parte)

Amedeo Bolinari alla fine è riuscito a trascinarmi al SUD. Non il Sud Sud (dove mi-ci-vi-si son recato con le mie proprie gambe e la valigia col montasio per il frico) ma al Sud ristorante.
Il Sud è a Quarto. Ambigua la semantica. Lo stereotipo e pregiudizio di Sud è incarnato da Quarto. Il ristorante si trova a Quarto. Quarto. Le teorie destre e sinistre di dune di sacchetti di immondizie differenziate (ogni sacchetto è composto in modo differenziato di carta, plastica, vetro e umido) si aprono per cedere il passo (sulla destra) a un vicoletto secondario. Due file di condomini che di lineare hanno solo un'assonanza con la scrittura b e che definisco anonimi solo perchè ho già guadagato nelle prime righe l'accoglienza padana riservata al figliol prodigo 'Il Trota II'.

Ma ma ... varcato l'uscio..... Totally White! E camerieri ......... Totally Black! Accompagnati al desco con solenne austerità come l'inconsapevole Euridice è guidata nel cammino a ritroso dall'Ade prima che l'incauto Orpheo si girasse.
La stanza unica, immacolata e luminosa come il tunnel della transizione estrema, è vuota e risuona di un silenzio metafisico. Per la prima volta nella vita rimpiango di non portare la borsetta che avrei potuto appendere ad un gancio geniale  di acciaio da fissare al tavolo.

Il percorso. La scelta di due antipasti, un primo, un secondo è un dolce è un percorso. Ogni piatto ha un nome che come i titoli dei un film della Wertmuller recano in epitome mezza sceneggiatura. Poi, la prima umiliazione.
Qualche intolleranza (alimentare)?
Risposta scurnosa.
No, nessuna. Ecco, lo sapevo che non dovevo venire, che sono inadeguato per questi posti. Dove vai se non hai neanche una intolleranza alimentare, di che parli ... niente ...

La scelta del vino è officiata dallo sposo in nero della Chef. Difficile fare scelte esotiche onorando vincoli di decoro (prezzo). Mo', non avrò nessuna intolleranza ma ti pronuncio un gewurztraminer con un gewurzt così gewurzt che ti dimentichi che è solo perché è quello che costa meno.
Lo sposo in nero apre, assaggio di una lacrima, infila nel secchiello del ghiaccio e ..... io penso ora mi attacco alla bottiglia così mi consolo. No belli, quello il secchiello se lo tiene lui, ha intenzione di dirigere lui la banda. Ma dico, hai visto che ho la palpebra scesa e gonfia come Liz Taylor mollata dal quinto marito? Ti hanno telefonato gli alcolisti anonimi e ti hanno raccomandato di farmi rispettare un regime di austerità?

La cameriera. Dritta come un fuso (spero il tutore fosse esterno e non interno). Mano dietro la schiena quando porge. Rigido pure io (anche in assenza di tutore interno ed esterno). Basta un occhio al Bolinari estatico per capire che anche io d'ora in poi dovrò servire con lo stesso sussiego.
E comunque non serve al tavolo. Officia un pontificale.
L'opera viene  posata sul desco con gesto misurato. La creazione presentata con voce impostata, recitazione studiata, movimento del capo che osserva un movimento continuo con derivata prima e seconda anch'esse continue che, andando prima da me poi a Bolinari poi di nuovo a me, traccia incrociandosi il simbolo misterico dell'infinito.

L'ammuina.
(NdR ad uso del lettore polentone ...
 tutti chilli che stanno a prora vann' a poppa
e chilli che stann' a poppa vann' a prora:
chilli che stann' a dritta vann' a sinistra
e chilli che stanno a sinistra vann' a dritta:
tutti chilli che stanno abbascio vann' ncoppa
e chilli che stanno ncoppa vann' bascio
passann' tutti p'o stesso pertuso)

Scusate se ho dovuto ricorrere alle parole d'altri per descrivere il  giro di posate (Sambonet) che tra una portata e l'altra hanno raggiunto e lasciato la tovaglia ecru. Io intanto recitavo la novena, i fioretti di maggio, invocavo l'intervento di Gesù bambino (e la poverra pazza m'è testimone di come io ricorra a quest'ultima invocazione solo in occasioni estreme) perché non ci fosse una proporzionalità diretta tra il giro di ferramenta e il costo del servizio.(Se mi torturate come il Cavalier Cavaradossi in Tosca vi confesserò che ho trovato fantastiche le stoviglie bone china della Rosenthal con le loro forme inusitatamente organiche).

Ha toppato! Ha toppato.
Finalmente al dolce s'e' tradita, s'e' tradita. Ho abbandonato la sancta sanctorum in attesa del dolce per recarmi alla toilette. Ovviamente sei accolto, in quell'intimo appartarsi, da dispenser di saponi estratti da distillati da lacrime di vergini tibetane. Mentre asciugavo le mie indegne appendici prensili in una tovaglietta che le attendeva arrotolata e fremente, la vestale è arrivata al tavolo in mia assenza a servire il dessert.
Non s'era accorta che mi ero allontanato!
Ha simulato (la mistificatrice) una desolazione sconfinata  pretendendo di essere la Butterfly all'ultimo atto. Tie'.
Ed io finalmente ho avuto vendetta. La mia umiliazione non è rimasta inulta!
Dopo la consumazione che precede il dolce, la vestale si appropinqua con un arnese della foggia di un coltellaccio d'acciaio, e similmente il manico. Si fa il contropelo alla tovaglia per raccogliere, come la spigolatrice di sapri, le briciole sul tessuto. Con mossa a sorpresa, alza la lama e le briciole allineate sul taglio scendono in ordine mansuete nella cavità del manico. Mi guarda trionfante come il prestidigiatore sull'allocco spettatore.
Mi apostrofa poi per avere il tovagliolo.
Lo poso sul tavolo.
Estrae una pinza lunga lunga, lo raccoglie e lo posa sulla guantiera.
Il mio tovagliolo con la pinza. E' troppo!
Sono stato vendicato!


S'e' magiato benissimo, ma questa è un'altra storia e ve la raccontiamo nella seconda parte.

(Viperon)

la gobbetta perfetta

piatto, casetta e bacche: Caterina

Le mie madeleines, si sa, sono le pesche ripiene. Fanno parte della memoria culinario-affettiva della mia infanzia.
Le madeleines, invece, sono ciò che sono: un delizioso dolcetto da tè, senza implicazioni sentimentali.
Questo fino a ieri, quando, complice Caterina, e il suo stampo arrivato da Parigi, i dolcetti sono diventati coccole e abbracci e chiacchere e una bella giornata passata insieme.
Terrorizzata dalla possibilità che la gobbetta non venisse, ho raffreddato ben bene l'impasto in frigo (tanto il forno era impegnato a seccare le verdure per il dado).
E poi, complice la fortuna del principiante, l'incoscienza o la legge di compensazione (la sfortuna ieri aveva preso la strada del meccanico) il dromedario-dolce è nato.
Abbiamo usato:
120 gr di farina
110 gr di zucchero
un pizzico di sale
mezzo cucchiaino da caffè di lievito per dolci
100 gr di burro
2 uova bio
un nonnulla di cannella
la buccia di un limone bio
--
Là fuori tutti sanno madeleinare, ma per chi ancora avesse dubbi:
sbattere con una frusta le uova, lo zucchero e un pizzico di sale.
Far sciogliere il burro a bagnomaria e unirlo al composto uovazucchero.
A questo punto aggiungere gli aromi scelti: in questo caso cannella e limone.
Mescolare bene e unire la farina e il lievito.
Ricoverare in frigo per una notte.
L'indomani accendere il forno e portarlo a 250° . Riempire gli stampini con un cucchiaio d'impasto e infornare per cinque minuti. Sembra che non succeda niente ma poi, come per magia, il vulcano erutta e la gobbetta si forma. Abbassare subitissimo il termostato a 180° e proseguire la cottura per altri cinque minuti.
Raffreddare su una gratella e servire con del buon tè.
Ti sistemano il pomeriggio, garantito.
PoveraPazza)

8 dicembre 2010

polpo alla griglia e stracciatella di burrata (e non mi viene un titolo spiritoso)

ph. Nicoletta Lupi


Scrivo questo post in una strana giornata festiva infrasettimanale. Un mercoledì di pausa, troppo centrale per attaccarlo al fine settimana prima o a quello dopo ma pur sempre un regalo. Scrivo e ascolto la mia passione del momento, i Fistful of Mercy che domani sono a Milano, all'Alcatraz.  Grazie ad Al non è la solita traccia di ITunes ma un cd vero, un oggetto da toccare.
Bello.
Ma di che volevo parlare? 
Ah, sì, della cena del giovedì che ha visto come protagonista il disastro del pane senza impasto ma che, per fortuna, ci ha anche permesso di mangiare qualcosa. 
Abbiamo preparato, nell'ordine: insalata di pompelmo, finocchi, rucola e salmone affumicato (ispirata a questa  ) , un risotto bianco con le canocchie molto semplice e infine questo secondo  aromatico e davvero leggero.
Piacerà molto ad Amedeo Bolinari, credo, nella sua "nuova" svolta Sud-ista.
Gli ingredienti, per sei persone:
6 fette di pane cafone (noi pugliese),  grigliato
250 gr di stracciatella di burrata
500 gr di cuori di sedano bianco
1,5 kg di polpo con tentacoli cicciotti (noi due polpi medi)
buccia di limone grattugiata al momento
sale pepe olio extravergine.
--
Innanzi tutto cuocere il polpo nell'ormai consueto modo "a secco", cioè nella sua acqua, con due foglie di alloro, a fuoco dolce e coperto. Senza sale, senza niente.  Saranno sufficienti, per questa preparazione, 25-30 minuti. 
Il polpo deve risultare al dente e le ventose non si devono staccare.

Lasciare appena intiepidire.

Nel frattempo con un pelapatate ricavare dei nastri dal sedano e tuffarli in acqua e ghiaccio. In questo modo si arricceranno vezzosamente e resteranno croccanti per sempre.
Staccare i tentacoli dal polpo e arrostirli sulla griglia calda, così:

ph.Nicoletta Lupi


Comporre il piatto in questo modo.
Con un anello tagliapasta ricavare dei tondi dalle fette di pane e usarli come fondo della piramide.
Sopra al pane grigliato porre una generosa forchettata di stracciatella e, volendo, un poco di pepe.
Lo strato successivo saranno i tentacoli grigliati (3 piccini a porzione).
ph. Nicoletta Lupi

L'ultimo tocco lo daranno  i nastri di sedano ben sgocciolati, un filo d'olio

ph. Nicoletta Lupi

e le zeste di limone a profumare.
Completare con poco sale di Maldon e pepe (noi di Penja)

ph.Nicoletta Lupi



Voilà. Questo è venuto!
Buona lenta giornata di festa.
(PoveraPazza)

6 dicembre 2010

la vendetta del lievito di birra: pane senza impasto

 
Delle cene del giovedì già si è detto. Della loro evoluzione stregonesca pure. Del divertimento anche.
Non si è parlato abbastanza della serietà e della precisione scientifica con cui alle dette cene si cucina.
Nell'ultima è stato tentato un esperimento senza rete di grande pericolosità (rullo di tamburi in sottofondo e barrire di elefanti): il pane senza impasto.


 
PoveraPazza, con la consueta organizzazione svizzera si era procacciata il libro di Jim Lahey, malauguratamente scritto in inglese ma fortunatamente corredato di figure che sopperivano alle lacune di vocabolario.
Dopo giorni di faticosi calcoli atti a decidere il momento in cui la sbobba farina sale acqua e (pochissimo) lievito doveva essere assemblata finalmente stabiliva che l'ora fatidica dovevano essere le ventuno di mercoledì.
Ligiamente mescolava con cucchiaio di legno (ha sempre avuto un leggero ribrezzo per le robe collose che sporcano le mani) nella sua big plastic bowl : 400 gr di farina PREZIOSISSIMA DI MONOCOCCO, 1 gr di lievito (follia), 8 gr di sale e 300 gr di acqua.
Copriva il terrinone con pellicola trasparente e beatamente se ne adava a nanna.
La mattina dopo l'impasto le pareva già pronto, ma è inesperta e non se ne curava troppo.
A sera era tempo di raccogliere la massa morbida, dare un paio di pieghe per modellare l'informe e procedere alla seconda lievitazione.

A questo punto la massa aveva la stessa consistenza della pastella per le crepes, ma chissà, magari proprio così doveva essere. Senza perdersi d'animo, ma con il tarlo del dubbio ormai insinuato nella sua già scarsa capacità di concentrazione, PoveraPazza procedeva a incruscare (era crusca, non farina) abbondantemente il blob molliccio ma chiaro ormai catafottuto nell'ignaro canovaccio.
Le due ore necessarie alla seconda lievitazione trascorrevano tranquille, mentre PP e le fellow-witches preparavano il resto della cena (di cui si dirà in altra sede).
Il pesante tegame di ghisa, graziosamente prestato dalla famiglia di N, veniva posto nel forno a riscaldare. Sempre N e sempre graziosamente, aveva ricoverato nel tegame un paio di ingredienti per pozioni magiche:  tisana ai frutti e un sacchettone di frutta secca mista, con il suo bel nastro di raso, procacciati con fatica di parcheggio alla Drogheria Carpano.
PoveraPazza, a conoscenza del ricovero, se ne era dimenticata, colpevole il neurone preoccupato per la liquidità dell'impasto, con ogni evidenza.
Trascorsa la mezzorata di arroventamento a secco il tegame veniva con cautela estratto dal forno e il coperchio sollevato per trovarci:

 venti e più euri di preziose derrate alimentari morbosamente avvinghiate al fondo del caldissimo e francamente antipatico pentolone nero.
 PoveraPazza, con una freddezza che non si conosceva, lungi dall'abbandonarsi al deliquio come la gravità del caso avrebbe meritato, distraeva le allibite e costernate consorelle. Con abile lavoro di cucchiaio di legno P raschiava via i cadaveri liquefatti.
Con possente gioco di squadra il pentolone veniva a più riprese lavato, asciugato, scaldato, rilavato, riasciugato, per renderlo atto a contenere il desiderio-di-pane che giaceva negletto nella sua copertina di cotone.
Inutile dire che gli oroscopi non gli erano favorevoli, quella sera. Da massa liquida e informe, dopo cottura secondo le istruzioni si era trasformato in massa solida e informe.

PoveraPazza, con la capatosta che notoriamente la contraddistingue e dimostrando un notevole sprezzo del pericolo e un inesistente senso del ridicolo, ha ritentato l'esperimento senza rete eccetera eccetera.
Questa volta la massa si è rivelata di un epsilon più consistente



e il risultato finale di gran lunga più fotogenico e appagante.
PoveraPazza però si chiede: quanti tentativi serviranno perchè la creatura ricalchi le guduriose foto del libro citato? Sapendo inoltre che impastare è una delle attività più rilassanti e creative (nel senso che stimolano le idee) che il genere umano abbia inventao, per quale ragione si dovrebbe fare il pane senza impasto?
Si attendono copiose risposte e argute argomentazioni.
(PoveraPazza)

1 dicembre 2010

Un Algoritmo Euristico



_ del Travertino e della Pietra Lavica

Il Bianco ed il Nero, quali sono le ambiguità che li confondono? Tu guardi la storia e le pietre e ti cali in una visione olistica della faccenda ma qualcosa non torna. Lo scenario che hai determinato ha qualcosa che non torna. Quel che non torna spesso sembra non avere carattere di reversibilità.

_ dell'Ambiguità delle Proporzioni

Se le prime ti sembrano giuste, meglio non sentire i consigli altrui perchè le prime sono sicuramente perfette.
Se ti dice: "tagliare finemente a dadini".... quanto fini sono questi dadini, qual'è il dadino aureo che io e te, sconosciuti, possiamo condividere? 

_dell'Imponderabile complessità del Tutto

Il velo d'olio nel quale ho soffritto la cipolla mondata e tritata come pure le patate, pelate e ridotte in indeterminati cubetti,  il rosmarino finemente, ma chissà quanto, tritato ed infine il pizzico abbondante di curry nascondono nella loro indeterminatezza una inevitabile  ricaduta sull'assetto finale.
 Il caos delle lame rotanti del minipimer cela in una consistenza vellutata tutti i miei dubbi. La brunoise di peperoni, pomodori e carote, forma una cupola di embrici policromi troppo grossi per esprimere armonia. Il cerchio di olio aromatizzato al basilico circoscrive un limite in cui cercare invano scenari di salvezza per la pessima cena di questa sera.


Amedeo Bolinari


e che cavolo! zuppa calda per i ragazzi sui tetti

Mi viene un brivido se guardo in strada e penso, anche, ai ragazzi sui tetti.
Penso ad un inverno perenne che si è impossessato delle nostre coscienze, del nostro paese (scritto minuscolo, non si merita alcuna nobilitazione). Penso, mi costerno, m'indigno,m'impegno poi getto la spugna con gran dignità.
Come una vecchia zia che si preoccupa dei nipotini, condivido il gesto di cura più semplice e immediato: il nutrimento.
Non una poesia, un proclama, un dazebao. No, una scodella di zuppa fumante e solidale.
Dice il nipotino: ma zia, minestra di cavolo? Essì, questo c'è, d'inverno. Un pò di contaminazione, neppure troppa, e una verdurina CHE FA BENISSIMO. Zitti e mangiate.
Che serve?
- 1 piccolo cavolo verza
- 1 cipolla bianca media
- 2 peperoncini piccanti freschi
- 1 cucchiaino di carvi
- 1 grossa patata o due medie, sbucciata e tagliata a dadi
- due cucchiai di olio di sesamo
- brodo vegetale
- sale pepe
- una decina di gamberi (a piacere)
- parmigiano grattugiato (alternativo al gambero)
-------------------------------------------------
Mondare e lavare accuratamente la verza, tagliarla grossolanamente conservando 4 delle foglie più esterne.
Tritare la cipolla e farla soffriggere con un cucchiaio d'olio d'oliva, il carvi e il peperoncino a rondelline.
Aggiungere poi la patata a dadi e, dopo un paio di minuti anche il cavolo.
Lasciare insaporire brevemente e poi coprire a filo con il brodo caldo.
Portare a bollore e lasciar cuocere ma non stracuocere (un quarto d'ora dovrebbe bastare).
Intiepidire e frullare a immersione. Dovesse risultare troppo densa aggiungere un poco di
brodo. Aggiustare di sale e pepe.
Ridurre ora a striscioline sottili le quattro foglie tenute da parte e saltare, cinesemente o giapponesemente, in olio di sesamo caldissimo con un peperoncino piccante.
Due minuti, non di più. Resteranno croccanti e verdissime.
Tenere da parte. Nello stesso olio saltare le code di gambero.
Inciotolare come da foto, completando con sale di Maldon affumicato.
Se il nipote avesse una particolare avversione per il gambero, sostituirlo (senza friggerlo!!) con parmigiano grattugiato.
Sarà la mia cena di stasera, sappiatelo. Su rieducational channel.
(PoveraPazza)



30 novembre 2010

letargo

Sarà la stagione, sarà il tempo che manca, sarà che le dita sono bruciate, sarà. Intanto il blog è in letargo.
Ma tornerà, più bello e più superbo che pria!
(PoveraPazza)

26 novembre 2010

pasta fighetta con ragù, di baccalà però

La sindrome del Bianconiglio non accenna a guarire, neppure a migliorare, se è per questo. C'è tanto - troppo - lavoro da fare e le spese sono a carico della vita vera. Allora latita la palestra, gli amici non so neppure più che faccia abbiano, la blog-creatura mi si rinsecchisce per mancanza di nutrimento.
L'ispirazione, quella, ci sarebbe pure. E' proprio che non riesco a far combaciare i lembi di una coperta asimmetrica.
Vabbuò, inutile lamentarsi. Passerà anche questa nottata.
Intanto nel mondo parallelo dei bloggers sono nate due nuove creature che non vedo l'ora di toccare e sfogliare: i libri calicantini. Ma ormai tutti lo sanno e non si parla d'altro fra queste righe.
I calicanti loro stessi medesimi sono personaggi formidabili. Molto poco star e molto tutto quello che ci piace. Ma anche questo è noto assai.
Questo per introdurre il baccalà? No, affatto, ma mi piaceva dirlo. E mi spiacerà molto non essere presente al baccanale di presentazione dei figliolini, ma la distanza e la stagione non consentono. Ci saranno altre occasioni, spero. Vero MaiteMarie? - il fotografo che però si nega spesso alla vista altrui, dunque non lo conosco.
Odo un coro unanime: ce la dai o no 'sta ricetta? E vabbè, arrivo, arrivo.
Che io non sia una creatura pastifera già l'ho detto. Ogni tanto mi cimento, così, per puro spirito di contraddizione. Questa volta mi serviva un primo autunnale e, visto che quelli con la verdura sola mi sanno più di primavera- estate, mi son lanciata in un ennesimo ragù di pesce.
Ormai ho bandito dalla mia tavola(con gran sofferenza ma I PRINCIPI SONO I PRINCIPI (non le altezze reali, le idee) ) il tonno, il pesce spada e i gamberetti. Che resta? Baccalà, forever.
Per 4:
calamarata 380 gr,
 baccalà ammollato privato delle spine 300 gr,
 pomodori pelati 1 scatola,
una piccola cipolla
una carotina
uno spicchio d'aglio
1 gambo di sedano,
peperoncino fresco
prezzemolo
olio d'oliva
sale
--
Tritare il sedano, la carota e la cipolla e farli appassire in un filo d'olio. Aggiungere i pelati, poca acqua e una presa di sale. Coprire e cuocere la salsa per 25-30 minuti.
Nel frattempo stufare il baccalà a pezzettoni, l'aglio e il peperoncino in un tegame con un filo d'olio. Cuocere il pesce - adagiato dalla parte della pelle - , coperto, per una ventina di minuti.
Lasciare intiepidire il pesce, levare per quanto possibile la pelle e sfaldarlo con una forchetta. Riunire il pesce nel suo fondo di cottura. Quando il fondo comincerà a sfrigolare aggiungere il prezzemolo tritato e la salsa di pomodoro preparata in precedenza. Lasciare insaporire per qualche minuto, aggiungendo poca acqua, se serve.
Nel frattempo lessare la pasta, scolarla al dente e saltarla nel ragù preparato.
La porzione nella foto è quella che ho mangiato io per entrare nei jeans e chiuderli, pure.
(PoveraPazza)

24 novembre 2010

tartellettizzazione del chai curd - di Rebecca -

Da quando l'ho visto non ho pensato ad altro: dovevo averlo! No, non Georgie-baby (oddio, anche lui nel caso) ma il chai curd di quel genio di Rebecca.
Per varie vicissitudini (prima mancava il tempo, poi le uova, poi il burro) mi sono ritrovata a cremizzare il tè ieri sera e a tartellettizzarlo un'ora fa.
Detto -  fatto -  condiviso. Non mi tengo un cece come è ormai ben noto.
Per quattro tartellette da 8 cm di diametro (brand new, tra l'altro):

60 gr di farina 00
40 gr di farina di riso
30 gr di farina di mandorle
1 tuorlo
50 gr di zucchero muscovado
una presa di sale
60 gr di burro
1 cucchiaino scarso di cannella in polvere
--
Impastare burro e zucchero, unire il tuorlo e poi le farine, il sale e la cannella.
La pasta resta abbastanza morbida quindi è facile rivestire gli stampini. I miei sono antiaderenti e non li ho imburrati e infarinati nè rivestiti di alcunchè. Bucherellare il fondo della pasta e poi lasciare in frigo per un quarto d'ora abbondante.
Successivamente passare in forno a 180 per un quarto d'ora o fino a quando le tartellette saranno asciutte ma non dure come il marmo.
Lasciare raffreddare e riempire con il curd preparato in precedenza. Una sconfinata delizia.

A ben guardare anche questa ricetta ha a che fare con l'India, almeno con la mia.
Ricordo ancora il venditore di chai che una notte, in una stazione sperduta e buia, sommessamente pubblicizzava il suo prodotto:"chai, chai, chai..!". Arrivato a me, insonnolita e un pò smarrita, con un gran sorriso disse "tea".
Sono passati tanti anni e la sua immagine mi commuove ora come ieri.
Un altro fratello che guarda il mondo.


(PoveraPazza)

22 novembre 2010

yogurt chapati e curry di zucca: interpretazione dell'India. 1.




A Natale vado in India. Se non succedono cataclismi o eventi che ora non so prevedere.
Nell'India del Sud, questa volta. Poi mi mancherà il centro e l'estremo Nord, ma il subcontinente è grande, mica si può aver fretta.
Ho sempre amato la cucina indiana, ho avuto parecchi amici indiani che mi hanno fatto assaggiare i piatti piccantissimi e vegetariani del sud (ciao Prasad). E' un paese che mi ha spezzato il cuore la prima volta che l'ho visto. Chissà se ora sarà cambiato, se ci vedrò una speranza che allora non mi pareva di scorgere.
Per farla breve e poco retorica, mi son fatta il chapati. Trovo interessanti tutti i pani indiani (anche questo) ma il chapati non l'avevo mai provato. Oddio, non che questo sia proprio quello classico, ma quasi.
Ho usato:
140 gr di farina integrale di farro
140 gr di yogurt greco
1/2 cucchiaino di sale
3 cucchiai di prezzemolo (coriandolo è meglio, ma se non si ha..)
un'idea di burro per ungere la padella antiaderente
--
Mescolare tutti gli ingredienti, prima con la forchetta e poi con le mani, fino ad ottenere una pasta liscia e omogenea. Mettere in una ciotola, coprire con la pellicola e lasciare riposare in frigo per un'ora almeno.
Trascorso questo tempo dividere l'impasto in sei palline che si stenderanno in piccoli dischi con il mattarello infarinato. Riscaldare su fiamma alta una pentola antiaderente dal fondo spesso, ungerla con l'idea di burro e cuocere i dischi due alla volta. Dopo un paio di minuti, schiacciando con una paletta di legno le focaccine si gonfieranno come palloncini. Continuare a schiacciare, gonfiando e sgonfiando per un paio di minuti per parte. Tenere al caldo mentre si esauriscono tutti i dischi di pasta.
Senza yogurt il chapati è il vero pane indiano, e risulta più leggero e conservabile.
In questo modo però, accompagnato dal curry di zucca è un piatto unico, goloso e leggero.
Per il curry di zucca:
600 gr di zucca tagliata a dadi non troppo piccoli
1 grande porro a rondelle
1 peperoncino fresco, piccante
10 pomodorini ciliegia
1 cucchiaio di estratto di pomodoro
1 cucchiaio di prezzemolo tritato
2 cucchiai di garam masala
la buccia di mezzo limone
2 cucchiai di yogurt greco per servire


Fare appassire leggermente il porro con il garam masala, l'estratto di pomodoro e il peperoncino a rondelle, aggiungere i cubi di zucca, poco sale e mezzo bicchiere d'acqua. Cuocere coperto fino a quando la zucca non sarà morbida (una ventina di minuti dovrebbero bastare) aggiungendo altra acqua se necessario. Negli ultimi cinque minuti unire anche i pomodorini tagliati a metà.
Salare, cospargere con le zeste di limone e poco prezzemolo tritato.
Servire accompagnato dalle focaccine preparate prima e, a piacere, un cucchiaio di yogurt nature.
(PoveraPazza)

ps: vista la mia ormai nota avversione per gli avanzi nella loro forma iniziale, la sera successiva la zucca è diventata una vellutata yogurtosa , buona e calda








18 novembre 2010

ceci, questi preferiti. In umido.

Problema: se si lavora fino a tardi, si salta la pausa pranzo e viene buio presto, se si ha una casa "d'atmosfera" in cui le luci sono solo da terra e per giunta fioche, quando cavolo si possono fare delle foto decenti?
Risoluzione: mai.
Vorrà dire che i miei quattro lettori si dovranno immaginare piatti succulenti in stoviglie finissime, ambientazioni magnifiche e tutto quanto vorranno loro.
Qui, fino al disgelo, si parlerà solo di ricette. Punto e basta. Non ci sono mica alternative.
Ieri sera, per esempio. tornando in auto dall'ufficio stavo passando in rassegna ciò che il frigorifero offriva. L'inventario non prometteva niente di buono, però facendo una joint venture frigo-dispensa magari una cena di qualche gioia magari sarebbe saltata fuori.
Per replicare la mia ciotola, sorretta da forte mano maschile:
1 confezione di ceci lessati
3 carotine
mezzo cespo di radicchio rosso
1 cipolla dorata piccola
aneto fresco
il succo di un limone
1 cucchiaino di carvi (kummel)
quattro cucchiai di yougurt greco
1/2 cucchiaino di sumac
sale pepe olio d'oliva
--
Tritare la cipollina e ridurre la carota a dadini. Far soffriggere in un velo d'olio insieme al carvi.
Aggiungere il radicchio tritato grossolanamente ed i ceci sgocciolati e lasciare insaporire per qualche minuto. Bagnare con il succo di limone, aggiungere l'aneto tritato, aggiustare di sale e pepe e finire la cottura per un altro paio di minuti.
Mescolare lo yougrut con un filo d'olio, il sumac e un pizzico di sale.
Servire l'umido di legumi con due cucchiai della salsa allo yougurt.
Continuando a saltare il pranzo e mangiando queste meravigliose leggerezze a cena forse è la volta che divento una modella (lol).
PoveraPazza



Aggiungere i ceci e

15 novembre 2010

leggiadria e un mazzo di rose

Quella appena trascorsa è stata una settimana da incubo. Mille grane, troppi impegni, una somma di disagi che mi hanno resa ancora più isterica (nomen omen) del solito.
Gli unici due momenti di relativa tranquillità e piacevolezza sono stati la cena di giovedì, questa volta tutta al femminile (unici ex maschi ammessi i miei gatti)  e venerdì il compleanno di mammà, per il quale io e Giulia, la mia nipotastra preferita (e unica!)
Giulia
abbiamo prodotto la tarte bouquet de roses trovata su C.I. di ottobre.
A dirla tutta, non pensavamo di essere capaci di fare le roselline di mela richiesta E INVECE SI', brave che siamo state!
Si procede così:
per la frolla (noi questa volta, per assoluta cronica e irrimediabile mancanza di tempo ne abbiamo usata una pronta, ma mai mai più)
farina 00 gr. 150, 
burro gr. 150,
farina di farro gr 100
2 tuorli 
zucchero gr 70 e un pizzico di sale
--
Impastare tutti gli ingredienti (unendo i tuorli per ultimi) e lavorarli fio ad ottenere un composto liscio ed omogeneo, Lasciarlo riposare al fresco, avvolto nella pellicola, per 1 ora almeno.
--
Per la crema frangipane:
pistacchi 75 gr (io 50)
zucchero 75 gr (io 50)
burro gr 70 (io 50)
yogurt greco 40 gr
1 uovo - sale
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Tritare al mixer i pistacchi con lo zucchero, ottenendo una farina il più fine possibile. Ammorbidire (ma non sciogliere) il burro e amalgamarlo allo yougurt. Unire entrambi alla farina di pistacchi, aggiungere l'uovo e un pizzico di sale. Mescolare bene con la frusta fino ad ottenere un composto cremoso ed omogeneo.
--
Stendere la frolla a 3-4 mm di spessore (sottile, ma non a velo) e foderare uno stampo tondo, rivestendo anche il bordo. Riemire la crostata con la crema preparata e cuocere in forno a 170° per circa 35 minuti.
--
Nel frattempo preparare le rosette :
mele rosse Stark 2 o 3, acqua gr 700 e 350 gr di zucchero
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Porre acqua e zucchero sul fuoco per ottenere uno sciroppo liquido. Tagliare il più sottilmente possibile le mele (io ho usato la mandolina), tuffarle nello sciroppo bollente, lasciar riprendere il bollore e poi scolarle, adagiandole su una superficie piana e cercando di evitare l'effetto mucchio selvaggio. Formare le rosette con tre fettine di mela, avvolgendole su se stesse (come quando si fa la pasta di sale, per dire). Accumularle su un piatto.
Sfornare la crostata, lasciarla riposare cinque minuti e poi decorarla con le rosette. Spolverizzare di zucchero a velo e infornare ancora per 10 minuti (passaggio che io ho saltato).
Lasciar raffreddare e servire.

Laura e Giulia

PoveraPazza molto orgogliosa di sè.


12 novembre 2010

Tonka tonka tonka!!

Cominciamo dal principio, da bravi.
A Taste of Milano, tanto vituperata manifestazione fighetto-gastronomica (che a me, invece, è piaciuta) mi imbatto in un piccolo e delizioso dessert di Andrea Berton di Trussardi alla Scala.
Un bicchierino di crema pasticcera profumato alla fava tonka e sormontato da una julienne sottilissima di mela Granny Smith.
Come spesso mi accade, rimango folgorata e avvio il processo ossessivo di ricerca degli ingredienti, primo fra tutti la fava in questione. Si rivela di difficile reperibilità ma, per fortuna, Santa Alex, nella sua grandiosa magnanimità me la fa avere, assaggiare, annusare.
Bene, mi dico, si può partire.
Il bicchierino aveva un che di granuloso inside che credo fossero mandorle tritate grossolanamente. Io ce le ho messe, comunque.
La mia prova non è esattamente come l'originale ma ci si avvicina parecchio.
Mi raccomando: le mele tocca tagliarle all'ultimissimo momento altrimenti anneriscono che è un piacere e il succo di limone non ci sta, con il resto. Forse, mi viene in mente ora, le si potrebbe tuffare in uno sciroppino liquido e poco dolce. Però, insomma, io ce le ho messe plain e mi sono piaciute così.

Per sei bicchierini (avanzerà un pò di crema ma è possibile conservarla qualche giorno in frigo):

- 430 gr di latte intero
- 1 fava di tonka
- 24 gr di farina 00
- 8 gr di fecola di patate
- 4 tuorli (80 gr)
- 70 gr di zucchero semolato più un poco per spolverizzare
- due cucchiai di mandorle pelate e tritate grossolanamente
- 2 mele Granny Smith di medie dimensioni

--

Versare il latte in una casseruola, aggiungere la fava e far riscaldare a fuoco dolce.
In una ciotola battere i tuorli con lo zucchero, poi incorporare farina e fecola. Stemperare con un pò di latte caldo e lavorare il composto con la frusta. Quando il latte bolle eliminare la fava (che servirà successivamente) e aggiungere il composto di uova e farina e le mandorle. Cuocere per circa 3 minuti, continuando a mescolare per evitare che si formino grumi. Profumare con la fava tonka grattugiata.
Spegnere il fuoco e far raffreddare sempre mescolando per evitare che si formi la pellicola in superficie (in alternativa cospargere abbondantemente di zucchero semolato).
Riempire i bicchierini con la crema ormai fredda e completare con la mela (non sbucciata) e tagliata a julienne il più finemente possibile con il robot o con la mandolina.
Il contrasto tra l'acidità e freschezza della mela e l'untuosità e la dolcezza della crema risulta molto piacevole.
(PoveraPazza)

10 novembre 2010

without pummarola 'ncopp



chapter one: Ancora fuori

Stoppa, questo è quel che mi ricordarono i suoi capelli. Alluminio, forse, era il materiale del portoncino fuori dal quale stava fumando una sigaretta.

Noi: "Ci scusi" _dicemmo in coro_ "stiamo cercando il ristorante blablabla  delle cantine blablabla ci hanno detto che sta qua ma 'ndò stà"
Lei: Voilà sta proprio qua   ella disse _in coro [suo]_ per non essere da meno_ scostò il suo bianco poncho vintage per scoprire il prezioso metallo anodizzato
Noi: Ua (sincera espressione di genuina meraviglia in napoletano) sta qua.
Noi, tra di Noi ma senza far sentire Lei:  ma come! Un ristorante cosìcolà di una casa vinicola colàecolì con un portoncino così!


chapter two: Oramai dentro

Noi: ?
Io: ???

Eravamo nel bel mezzo di un viaggio  a ritroso nel tempo: il finto pub rustico degli anni 80.
Calce grezza alle pareti, ruote di carro come tavoli o tavoli adatti ad essere usati come ruote di carro, barili usati come sedie o forse erano sedie scomode come barili, arnesi misteriosi appesi alle pareti forse si, attrezzi agricoli o  forse no, non so.


Chapter three: La sorpresa

La fumatrice, stopposa e ponchosa, è anche cameriera! Anzi, forse è anche la tenutaria. Al banco bar c'è anche il suo alterego in stile vecchia tossica hippy con un treccione nero (che ti sembra giovane di spalle ma è una vecchiarda se vista di fronte) ed inoltre un figuro barbuto, ma forse pure barboso, appare decisamente indaffarato tra banco bar, cucina, depositi ed un temibile palchetto per esibizioni live.
Vuoto è il locale ed anche il desiderio che partorisce il mio senso estetico è paragonabile ad un anelito di vuoto.


Chapter four: La carta

La tipa stopposa ci porta un foglio sul quale vi era stampata la dicitura: MENU' ma era rimasto poco spazio per scrivere altro, molto spazio ancora era stato dato ai numeri che ti indicavano quanto ti sarebbe costato mangiare, quindi si capisce che questo aveva ridotto enormemente la possibilità di poter cucinare più di due o tre cosette.
Mentre si discuteva tra Noi se conveniva farsi derubare ordinando un bicchiere di vino a testa o farsi derubare ordinando addirittura una bottiglia intera, mi cadde l'occhio sullo SCAMMARO  "piccolinamente" indicato in MENU'.


Chapter five: Lo Scammaro è...


Io: Scusi signora stopposa che cos'è lo scammaro?
Lei:  stopposamente disse: lo scammaro è....euan.... EuanTuTriFor... lo barbuto barboso ed altri giovani vecchi cominciarono a suonare un amplificatissimo Jazzzzz.


beh vi sembrerà strano ma proprio non ricordo cosa disse la stopposa dello scammaro.
Forse parlò di spezzettare queste


tagliuzzare questo


tostare questi


e tostare anche questo


ammollare queste


Insomma con tutta questa roba qui:


quella sera, qualcuno in cucina, buttò in una padella con l'olio una alice salata con un spicchio d'aglio tritato. Consumata l'alice buttò in padella le olive bianche e nere, tagliate a pezzettoni ed aggiunse di lì a poco i capperi. Forse la stopposa, ma non ci giurerei, fece cuocere la pasta al dente che poi venne unita  con le olive ed i capperi in padella. Infine rimestò tutto aggiungendo l'uvetta ammollata, i pinoli tostati e per ultimi prezzemolo e pan grattato anch'esso tostato.

Una appendice storica


Lo scammaro sono degli spaghetti conditi senza pomodoro. I "giorni di scammaro" che nel regno delle due sicilie identificavano i giorni della quaresima e tutti gli altri giorni dell'anno nei quali, per precetto religioso, era obbligatorio mangiare di magro  la voce scammaro è un sostantivo derivato, attraverso una protesi di una s distrattiva, dal verbo latino *cammarare=mangiar di grasso; posto che *cammarare è mangiar di grasso, ne deriva che *scammarare (donde scammaro) vale mangiar di magro.

Amedeo Bolinari

metti un finocchio a cena: caramellato con quenelle di caprino fresco


Stasera, grazie all'iniziativa di un gruppo di blogger, invitiamo a cena i finocchi.
Premetto che a me i finocchi piacciono di più crudi, alive and kicking e chiacchieranti, premetto che credo sappiano difendersi da soli dagli attacchi beceri di certi personaggi. Epperò.
Credo sia necessario metterci la faccia, etichettarci per marcare una differenza. In questo senso rimando al magnifico post di Giovanna di qualche giorno fa.
Spero che le piccole iniziative come questa contribuiscano almeno a far pensare, se non a modificare la coscienza di altre persone.
Sabato scorso, a Milano, quel finocchio di Nichi ha riempito un teatro (grande) e ha lasciato fuori diverse migliaia di persone (io tra quelle) che avevano voglia di ascoltare la narrazione di un punto di vista diverso. Mi fa piacere pensare che tutti questi semini insieme faranno crescere un albero nuovo, diverso da querce, ulivi, garofani, ma con profonde radici.

E dopo il pistolotto, ecco la ricetta. Di Yotam Ottolenghi.

2 piccoli finocchi
un cucchiaino di burro e un cucchiaio d'olio
2 cucchiai di zucchero
1 cucchiaino di semi di finocchio
qualche fogliolina di aneto
zeste di mezzo limone
2 cucchiai di caprino fresco
sale pepe (e qualche bacca di ribes fresco, se piace).
--
Mondare delle foglie più dure i finocchi e lavarli. Affettarli  per il verso della lunghezza senza eliminare la base più dura in modo che le fette (spesse 1 cm) restino insieme.
Far sciogliere il burro in una larga padella, aggiungere anche l'olio. A fiamma vivace far dorare uno strato di fette di finocchio da entrambi i lati. Far riposare su un piatto le fette già pronte e proseguire fino a esaurimento della verdura.
Nel fondo di cottura aggiungere lo zucchero, i semi e abbondante sale e pepe. Far sciogliere per 30 secondi, aggiungere i finocchi cotti e lasciar caramellare delicatamente per un paio di minuti.
Cospargere con l'aneto e le zeste di limone e il ribes, a piacere.
Guarnire con la quenelle di caprino fresco.
--
PoveraPazza

Un finocchio al giorno, lo leverà di torno? Oppure un finocchio, una mela e una patata? O un finocchio, una mela, una patata e una rapa? Un cavolo? Un intero minestrone?
Si sa, la dieta depurativa fa miracoli!


- questo post è per voi, lo sapete -