Attraversiamo tutti un'età dell'oro. O multiple età dell'oro, se siamo molto fortunati. O molto entusiasti. Queste parentesi di beatitudine possono protrarsi per anni, consumarsi in una sola stagione o bruciare intensamente in pochi giorni. A prescindere dalla loro durata, ne conserviamo per sempre la vertigine e la pienezza delle emozioni. Vi associamo oggetti, città, vestiti,amori, mode e ... sapori.
Per quanto mi riguarda, non c'è niente di più evocativo di un sapore: un assaggio può essere un flash, un virtuale lampo al magnesio che mi proietta istantaneamente sul viale del ricordo. Quelli che hanno amato la scena del film Ratatouille, in cui il terribile critico assaggia la pietanza del titolo - divinamente confezionata dalla pantegana - e rivive la gioia e l'estasi dell'infanzia, sanno di cosa vado vaneggiando.
Flash. Berkeley, California. Primi anni Novanta. La scena e il tempo della mia età dell’oro. La sensazione di vivere nel posto perfetto, di frequentare persone perfette, di avere il lavoro perfetto. E come se non bastasse, il privilegio di abitare un one-bedroom apartment (con tanto di sun deck con vista mozzafiato sul Golden Gate) sito nel magico quadrato di pochi isolati noto ai più come il Gourmet’s Ghetto, sulle colline di North Berkeley.
Per intenderci, è qui che Alice Waters ha aperto il suo Chez Panisse, il ristorante che ha segnato una svolta epocale nella percezione e nella fruizione del cibo sulla West Coast americana (prima) e nel resto del paese (poi). È qui che Peet’s Coffee ha avviato gli americani, tradizionali bevitori di orribile morchia, al culto del caffè, un trentennio prima della banalizzazione operata dall’avvento degli onnipresenti Starbucks Coffee. È qui che Cha-Am mi ha servito il miglior cibo Thai mai assaggiato. Infine, è qui che Saul’s Deli, un Deli Cafè che interpreta magistralmente la tradizione culinaria giudaico-americana, mi accoglieva spesso le domeniche, in compagnia della mia inseparabile amica Jewish-Italian Nina, a declinare il rito del brunch.
Mi rendo conto che, come ogni vecchio rimbambito che borbotta di antichi fasti, sto divagando. Vengo al sodo. Approfittando del weekend e dell'insano furor panificatoris che impazza qui a Hysteria Lane, mi sono procacciato un flash gustativo difficilmente esperibile altrimenti alle mie attuali coordinate geografiche: ho organizzato uno Jewish brunch a base di bagel! Per chi non lo sapesse, il bagel è un prodotto da forno di origine ebraico-americana, oramai diffusissimo in tutti i paesi di lingua anglosassone e stranamente latitante nel nostro paese. La forma toroidale ricorda quella del nostrano tarallo ma la similitudine finisce qui. Grazie alla rapida bollitura antecedente alla cottura in forno, la consistenza del bagel è gommosa e la pasta interna è morbida, compatta, leggermente umida e profumata. Esternamente, il bagel può essere plain, oppure ricoperto di ogni semenza commestibile che possiate immaginare. Molto popolari sono i bagel ai semi di papavero o di sesamo. Un piatto canonico di un brunch in un Jewish Deli Cafè è un bel bagel tostato accompagnato da cream cheese (opzionalmente guarnito di aneto fresco) e lox, che altro non è che salmone affumicato. Completa il piatto un bel cipollotto crudo.
Ma passiamo alla realizzazione. La ricetta tradizionale per i bagel prevede una lievitatura lunghissima (almeno 18 ore) a bassa temperatura: tipicamente, si preparava l’impasto prima del Sabbath e si completava la preparazione alla fine del periodo di astensione dal lavoro manuale. Si ottengono comunque ottimi risultati in tempi molto più ragionevoli utilizzando il lievito di birra disidratato. Per le dosi e la modalità di preparazione, potete seguire le indicazioni dell’ottima Sigrid: non ha senso quindi che le replichi qui. Come note a margine della pur valida ricetta, consiglio vivamente l’uso di una farina di forza (una Manitoba andrà benissimo) e di allungare un po’ i tempi di lievitazione (portando a due ore la prima lievitazione e a un’ora la seconda). Inoltre, aggiungete all’acqua di bollitura un cucchiaino di bicarbonato di sodio, oltre che lo zucchero, per aumentare la consistenza gommosa tipica del bagel. Come copertura, ho usato semi di papavero, di sesamo e di girasole.
Prima di servirlo, il bagel va tagliato in due parallelamente alla sua base e tostato velocemente al grill o in un toastapane. Per il cream cheese, in mancanza di prodotti artigianali, difficilmente reperibili in Italia, utilizzate il Philadelphia. Un buon salmone norvegese completa la composizione. Si spalma il cream cheese sul bagel, si aggiunge il salmone, un po’ di cipollotto, si addenta e….. flash!
P.S. E’ pleonastico aggiungere che un lox and cream cheese bagel, accompagnato da qualche cetriolino in agrodolce, ben si addice alla schiscEtta chic di PoveraPazza!
(GeppetNo)
7 commenti:
Tesoro, un post perfetto. Niente da aggiungere, tranne: chapeau!!
Mi confondi, grazie! Prima o poi panificheremo insieme e celebreremo l'apoteosi del carboidrato!
Che chic!!! A me me fate fa' la figura della sora Lella!
madeche.. ho in mente un post su "robe interne" che vi farà rabbrividire!
bello tutto! ed immagino pure buono buono.
Mi piacerebbe pure strafocare ste bontà seduto nel bel terrazzone pavimentato in legno con vista sulla baia
sittin' on the dock of the bay
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