"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

10 maggio 2010

Il Giusép



Non ho mai avuto un gran rapporto con le robe lievitate.  Ancora ricordo il trauma di quella volta che mi sono messa in testa di fare i krapfen (duri come marmo). Da lì in avanti avevo deciso che  pane e derivati non erano per me.  
Mi ero concessa uan seconda chance  con il Giusép, un magnifico fornaio lombardo ottantenne cui era toccato in sorte di insegnare i rudimenti della panificazione a un ristretto gruppo di perdigiorno e sciure milanesi in una torrida estate di qualche anno fa.
Il Giusép ci guardava con un'aria lievemente divertita,  con il sopracciglio alzato e ci apostrofava bruscamente ogni volta che azzardavamo una profanissima domanda. Le sue manone infarinate impastavano con forza gentile, facendo nascere filoncini, rosette, grissini. Sembrava tutto semplice, fatto da lui.
Per me però il feeling con farine e lieviti non si era proprio mai creato. Doveva avere a che fare con la cottura, perchè l'atto dell'impastare lo trovavo e lo trovo naturale e ancestrale. E' stato come la prima volta che ho toccato l'argilla. Credo sia connaturato all'uomo.
Fabbricare un recipiente e preparare il pane sono gesti che conosciamo senza averli mai fatti.

Intendiamoci, io adoro il pane. E' un alimento di cui non posso fare a meno, forse l'unico. 
Ma cuocerlo da me lo trovo difficile.

Per completezza di formazione, però,  ho ufficialmente inaugurato la stagione del piccolo impastatore ed ho prodotto:
- il mio primo pane in assoluto. Carino da morire e con i semini di papavero ma insipido. 
  Il mio   cuore    va al pane cafone che trovo a Napoli e questo, troppo domestico, è stato relegato a        prova di laboratorio.
- la mia prima focaccia. Sì, buonina, ma non soffice come avrei voluto. Paoletta però mi ha insegnato a far lievitare in forno spento ma con la lampadina accesa. E funziona!
- I muffins alla fragola.  Ma questi non credo valgano. Ne ho fatti di mille tipi e con tante cose dentro, anche se i miei favoriti restano i corn muffins leggermente tostati.
Avevo delle fragole neglette in frigo ed ho pensato di dar loro una seconda giovinezza. 



Dunque, per una dozzina di muffins, serviranno:
100 gr (1/2 tazza) di burro morbido, 3/4 di tazza di zucchero, 1 uovo, due tazze di farina, una bustina di lievito, 1/2 cucchio di sale, 1/2 tazza di latte (io ne ho usato un pò di più), una stecca di vaniglia, una decina di fragole a dadini.
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Lavorare il burro con lo zucchero ed aggiungere l'uovo intero fino a che la miscela diventa spumosa. 
Aggiungere alternativamente la farina setacciata con sale e zucchero ed il latte. L'impasto deve essere morbido e leggermente colloso. Aprire la stecca di vaniglia e prelevare i semini con la punta di un coltello, aggiungerli alla miscela. Da ultimo unire le fragole mescolando delicatamente.
Riempire a 3/4 gli stampini da muffin, cuocere in forno preriscaldato a 185° per 25-30 minuti o fino a quando la superficie dei dolcetti non sia dorata.

La colazione semplice e tutto sommato poco calorica è servita.

Ah: Non so come si regolino gli altri scrittori-sperimentatori di ricette. Il mio credo calvinista mi impedisce di mentire, quindi tutto quanto pubblicato qui è stato cucinato sul serio. Cucinato ma non mangiato. Sto cominciando a distribuire a destra e a manca le prove tecniche di trasmissione.
Quanto prima la gente mi incontrerà per strada e fingerà di non ricoscermi per evitare di doversi portare a casa un doggy-bag di taralli 'nzogna e pepe venuti appena appena bruciaticci..
(PoveraPazza)



3 commenti:

amedeobolinari ha detto...

sembra tutto molto appetitoso

PoveraPazza ha detto...

hai detto bene: sembra!

ViPeron ha detto...

Una volta ho provato a fare i grissini. Avevano la consistenza del gress. Mia madre in un suo raro momento di trasporto filiale, ha commentato
'No dai, se li tieni in bocca un po' ...'