"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

6 dicembre 2010

la vendetta del lievito di birra: pane senza impasto

 
Delle cene del giovedì già si è detto. Della loro evoluzione stregonesca pure. Del divertimento anche.
Non si è parlato abbastanza della serietà e della precisione scientifica con cui alle dette cene si cucina.
Nell'ultima è stato tentato un esperimento senza rete di grande pericolosità (rullo di tamburi in sottofondo e barrire di elefanti): il pane senza impasto.


 
PoveraPazza, con la consueta organizzazione svizzera si era procacciata il libro di Jim Lahey, malauguratamente scritto in inglese ma fortunatamente corredato di figure che sopperivano alle lacune di vocabolario.
Dopo giorni di faticosi calcoli atti a decidere il momento in cui la sbobba farina sale acqua e (pochissimo) lievito doveva essere assemblata finalmente stabiliva che l'ora fatidica dovevano essere le ventuno di mercoledì.
Ligiamente mescolava con cucchiaio di legno (ha sempre avuto un leggero ribrezzo per le robe collose che sporcano le mani) nella sua big plastic bowl : 400 gr di farina PREZIOSISSIMA DI MONOCOCCO, 1 gr di lievito (follia), 8 gr di sale e 300 gr di acqua.
Copriva il terrinone con pellicola trasparente e beatamente se ne adava a nanna.
La mattina dopo l'impasto le pareva già pronto, ma è inesperta e non se ne curava troppo.
A sera era tempo di raccogliere la massa morbida, dare un paio di pieghe per modellare l'informe e procedere alla seconda lievitazione.

A questo punto la massa aveva la stessa consistenza della pastella per le crepes, ma chissà, magari proprio così doveva essere. Senza perdersi d'animo, ma con il tarlo del dubbio ormai insinuato nella sua già scarsa capacità di concentrazione, PoveraPazza procedeva a incruscare (era crusca, non farina) abbondantemente il blob molliccio ma chiaro ormai catafottuto nell'ignaro canovaccio.
Le due ore necessarie alla seconda lievitazione trascorrevano tranquille, mentre PP e le fellow-witches preparavano il resto della cena (di cui si dirà in altra sede).
Il pesante tegame di ghisa, graziosamente prestato dalla famiglia di N, veniva posto nel forno a riscaldare. Sempre N e sempre graziosamente, aveva ricoverato nel tegame un paio di ingredienti per pozioni magiche:  tisana ai frutti e un sacchettone di frutta secca mista, con il suo bel nastro di raso, procacciati con fatica di parcheggio alla Drogheria Carpano.
PoveraPazza, a conoscenza del ricovero, se ne era dimenticata, colpevole il neurone preoccupato per la liquidità dell'impasto, con ogni evidenza.
Trascorsa la mezzorata di arroventamento a secco il tegame veniva con cautela estratto dal forno e il coperchio sollevato per trovarci:

 venti e più euri di preziose derrate alimentari morbosamente avvinghiate al fondo del caldissimo e francamente antipatico pentolone nero.
 PoveraPazza, con una freddezza che non si conosceva, lungi dall'abbandonarsi al deliquio come la gravità del caso avrebbe meritato, distraeva le allibite e costernate consorelle. Con abile lavoro di cucchiaio di legno P raschiava via i cadaveri liquefatti.
Con possente gioco di squadra il pentolone veniva a più riprese lavato, asciugato, scaldato, rilavato, riasciugato, per renderlo atto a contenere il desiderio-di-pane che giaceva negletto nella sua copertina di cotone.
Inutile dire che gli oroscopi non gli erano favorevoli, quella sera. Da massa liquida e informe, dopo cottura secondo le istruzioni si era trasformato in massa solida e informe.

PoveraPazza, con la capatosta che notoriamente la contraddistingue e dimostrando un notevole sprezzo del pericolo e un inesistente senso del ridicolo, ha ritentato l'esperimento senza rete eccetera eccetera.
Questa volta la massa si è rivelata di un epsilon più consistente



e il risultato finale di gran lunga più fotogenico e appagante.
PoveraPazza però si chiede: quanti tentativi serviranno perchè la creatura ricalchi le guduriose foto del libro citato? Sapendo inoltre che impastare è una delle attività più rilassanti e creative (nel senso che stimolano le idee) che il genere umano abbia inventao, per quale ragione si dovrebbe fare il pane senza impasto?
Si attendono copiose risposte e argute argomentazioni.
(PoveraPazza)

5 commenti:

Geppino ha detto...

Hai fatto il no-knead bread prima di me!!! Dalle difficolta' incontrate desumo che tutte le tirate che si leggono in rete sulla estrema facilita' del processo e assoluta garanzia del risultato siano tutte fole prive di fondamento... Comunque brava!

PoveraPazza ha detto...

Geppino, non so se le altre hanno incontrato le stesse difficoltà, certo si è che le variabili sono molte. Il livello di assorbimento della farina che si intende usare, per esempio, e soprattutto la temperatura. Le istruzioni laconiche dicono: in pieno inverno potrebbero volerci anche 24 ore - usando bread flour. Che cosa vuol dire bread flour? manitoba, semola?? mah..

( parentesiculinaria ) ha detto...

Vuoi qualche ragione?? Avevo ma l di schiena e malino al polso e l'altro giorno ho impastato... inutle dire che il malino ora è malone e il mal di schiena mi fa muovere come una vecchina artritica...
Sta cosa del pane con impasto molliccio e non lavorato però non mi è nuova. E dicono anche che i risultati siano ottimi... da provare.
Pentolone: no comment!! :D

amedeobolinari ha detto...

Ma mi viene tanto da ridere ad immaginare le facce delle presenti dopo aver scoperto il sacchettino di plastica con delizie inside penosamente squagliato nel forno : )
Ma Carpano è quella bellissima drogheria a Biella?

PoveraPazza ha detto...

Parentesi: il pane effettivamente è molto simile al pane cafone, se hai presente. Guadagna con i giorni di riposo. Però i nostri risultati non sono ancora ottimali, quindi non ti posso dire. La cosa migliore è la crosta!
E Amedeo, sì, Carpano è quello che credi. Ormai lì mi odiano perchè cerco le peggio cose. E non le hanno mai.