Dovrei dire: mi ha risucchiata.
E' così che ci si sente nei primi istanti, quaderno-munite e occhialetto lucidato, pronte ad abbeverarsi alla Sacra Fonte della Superiore Creatività.
Una delle strategie di sopravvivenza possibili è sgolarsi un mojito alla mela alle due del pomeriggio e passare il resto della giornata avvolte da una gioiosa nebbia alcolica.
Se si è astemi o si vuol portare a casa una sportina di sensazioni, stimoli, critiche, foto, strette di mano, appunti, chiacchiere, l'unica via è scavarsi una nicchia.
Individuare un percorso, un tema, un ingrediente, uno chef - che ne so, magari ci sono gli stalker professionisti anche fra i foodies - e non deviare fino alla fine dello spettacolo.
Pura antropologia, lo so. Leggo i miei comportamenti a posteriori, nulla era stato deciso prima, il caso regna nei miei gesti, di solito.
In una domenica mattina polare mi presento all'appuntamento con l'Alta Cucina per la seconda volta. Persa l'innocenza del neofita cerco la rotta.
Mi interessa da sempre la cucina naturale. L'unico programma serio che avevo fatto era : Identità Naturali.
Pietro Leeman, chef del Joia di Milano (unico ristorante vegetariano stellato, in Italia) ha aperto le danze.
Lo conoscevo già, avevo letto alcune cose sue ma non immaginavo fosse quasi mistico. Non scherzo. Una coerenza invidiabile e convinzioni fortissime. Antroposofia steineriana, spiritualità zen e serietà svizzera ne fanno un personaggio unico.
Tratta i vegetali in modo sorprendente e spesso il risultato è spiazzante.
Fatto sta che il suo cavolo croccante era davvero buono.
Enrico Crippa, già conosciuto e amato - polemico con la svolta "nordica" della cucina - e Christian Puglisi - che della svolta nordica è uno dei protagonisti, sono stati altri due interventi interessanti. Come taglia le rape lui, poi, nessuno.
La sostenibilità, insieme al rispetto dei produttori (spesso piccoli o piccolissimi), alla stagionalità e al controllo delle materie prime sono i temi che ho sentito di più.
E poi l'umanità.
Ragazzi, la compagnia di giro dei soliti noti l'ho evitata quasi del tutto.
Sperimentano molto ma non cucinano più. Ci vuole l'alta moda e il pret à porter ne sono consapevole, ma rimescoliamo un poco le carte.
Di cibo si tratta, in fondo. E il cibo è un mezzo di sopravvivenza prima, poi una fonte di piacere e espressione, poi un affare.
Se il cibo è il fine, è sterile.
Come sterile è ogni virtuosismo se non ha cuore.
Allora : più interessanti le jam sessions (Uliassi e Cedroni su tutti) degli assolo autocelebrativi.
O il cibo di strada trattato da Enzo Coccia come un romanzo storico, grazie al quale alle undici eravamo nutrite e fragranti di olio extravergine come la migliore pizza fritta.
mano amica |
Meglio Identità Donna.
Donne creative ("la creatività nelle donne è un atto naturale"), sperimentatrici, coraggiose, ma allegre e umane. Donne che restano cuoche, che cucinano per accudire, per dar piacere.
Dite che mi sono immedesimata troppo?
Eh, magari mi fosse venuto in mente di farmi travolgere dal panino della mia amata Viviana Varese (tifo da stadio per lei, mancava solo la vuvuzela): grano arso e sale, scrigno che racchiude una culla di foglie di limone con un cuore di ombrina. Stavo per spingermi, con un lirismo carpiato che neanche Erri De Luca, a leggerci una metafora del grembo materno. Ma vabbè.
Sandra |
Dura e pura, PoveraPazza? Anche i duri ballano, e anche PP si è recata in pellegrinaggio all'altare druidico di Rezdepi, padre macedone e madre danese, chef del Noma (nordisk mad = cibo nordico), miglior ristorante al mondo nel 2010 e 2011.
Renè dei boschi pare un elfo simpatico e sommamente visionario, che raccoglie bacche, muschi, licheni, gemme di pino, alghe e li manipola ("please, remember that everything is cured, pickled, salted, aged") per creare piatti stupefacenti in cui elementi vegetali, spesso selvatici, si fondono ad elementi animali più "domestici" (se un'ostrica di 11 anni si può considerare domestica).
Non si riesce ad immaginare che sapore possano avere,troppo alieni.
Stimolano la curiosità della renna mediterranea che alberga in noi.
Loro ci sono andati, ne hanno scritto (bene) e si sono guadagnati la mia somma invidia.
Loro ci sono andati, ne hanno scritto (bene) e si sono guadagnati la mia somma invidia.
Niko Romito è l'elfo dei boschi nostrano che piace per la sua autentica timidezza e il pudore montanaro che non lo ha (ancora) reso un animale da palcoscenico.
Per lui parlano i video che mostra. L'anno scorso ci aveva lasciati a bocca aperta, ma anche quest'anno, lo zen della carota assoluta (una carota elevata alla massima caroticità) con olive e pane, vale la pena di essere visto.
Aspettate, e un'altra ne avrete (come le fiabe sonore della mia infanzia): nel mare di articoli sull'argomento troverete pane per i vostri denti.
(PoveraPazza)
6 commenti:
Urca, non ho parlato di Uliassi. E io amo Uliassi perché cucina meravigliosamente ( e cucina davvero) e perché non fa mai il Dio sceso in terra.
E'molto simpatico, è vero.
E io non ho parlato di Puglisi che mi ha aperto il mondo dei nastri di rapa e spaghetti di patate. Ma forse lo aggiungo e faccio un post-monstre.
Copio, copio subbbbbito, chè mi è piaciuto assaissimo.
ps: ma quel dito impunito, che ha rubato la ricotta, di chi sarà mai stato? buahahahah ah!
Il più interessante ritratto di IG che si possa trovare in giro. Peccato che poche foodblogger abbiano la tua verve letteraria...leggerei più spesso e volentieri blog di food.
Io non c'ero, mia cara, perchè la macchina mi ha lasciato a piedi. Sembra una scusa? Non lo è. Batteria morta e nessun mezzo alternativo per raggiungere la metropoli.
Tra l'altro ho fatto una figura barbina perchè avevo strappato l'invito all'organizzazione oltre tempo limite (la comunicazione per partecipare era finita nello spam)...Alla prossima
Sara mi spiace molto. Non perchè ti sia persa niente di imperdibile ma perchè non ci siamo viste.
E grazie molte per la passatina di cera al mio ego. Ogni tanto ci vuole! ;-)
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