"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)

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24 maggio 2010

Studio critico paranoico sul baccalà alla vicentina

Sono al mio terzo tentativo con il baccalà alla vicentina. La Povera Pazza mi perdonerà se non posso accoppiare la ricetta a nessuna esotica saudade o nordica 'pucundria'.
Il primo tentativo è stato perfettamente in linea con i buoni propositi di questo blog, l'orlo della crisci di nervi è stato abbondantemente valicato.
La provvista di baccalà per la bisogna era stata fatta nella capitale campana. Baccalà salato. Bei filettoni bianchi sottosale. Operazione propedeutica alla cottura e' la 'spugnatura' (che naturalmente non è una operazione da beauty farm).
Bene, in quell'occasione la spugnatura (immersione generosa in acqua e ricambio frequente) è durata meno di 48 ore. Troppo poco. Purtroppo la scoperta è stata fatta a piatto servito.

Saprai si come sa di sale ....diceva padre Dante. Il prodotto finito era probabilmente commestibile solo per le capre. Come fare una libagione con le acque del Mar Morto. I poveri ospiti con sforzo eroico se lo sono pure mangiato. Che dimostrazione di affetto e che sbalzo di pressione.
La seconda volta, i neuroni memori della salata esperienza, mi hanno accompagnato ad una spugnatura più prolungata. Sulla preparazione si dirà dopo. Il risultato gradevole al palato. Le carni morbide. L'ospite ha saltato l'occasione per una medaglia al valore.

Rimane tuttavia il rovello. Il baccalà salato sarà la materia prima giusta? Ovviamente no. Ci vuole il baccalà secco, lo stoccafisso. Finalmente ho capito la differenza trai due e mi potrò concentrare in futuro nella memorizzazione dei nomi che designano le sue parti (mussillo, coroniello et etc ... campare a Napoli richiede fatiche aggiuntive, è ben noto). Insomma, uno non può certo vivere con il rovello di non aver centrato la nuance giusta del baccalà alla vicentina.


La terza volta. A Natale nel profondo Nord Est compero uno di quei cadaveri secchi secchi. Lungo tre quarti di metro, affusolato, come la coscia secca dell'uomo di Similaun.
Altra caratteristica tecnica.... puzza come una carogna.
Torno a Napoli con il caro estinto in valigia. Questa volta sono sicuro. Voglio proprio vedere chi si azzarda all'aeroporto ad aprirmi la valigia per frugarci dentro. Brevetto l'antifurto?
La salma rimane nello sgabuzzino (luogo secco e asciutto) finché non mi ritorna l'estro delle spugnature. Questa volta la spugnatura deve durare almeno tre gironi. Dove lo metto? In vasca da bagno? No, lo spezzo in tre parti e dissemino di caccavelle la cucina.
Per quattro giorni la casa è soffocata da un puzzo stagnante (piove anche e non si può aprire). Arriva il dì fatale.

La ricetta è quella della Venerabile confraternita del Baccalà alla Vicentina (come dire, non prendiamoci troppo sul serio).

Essa recita (per dodici persone)
Kg. 1 di stoccafisso secco
500 g cipolle
1 litro di olio di oliva extra – vergine
3-4 acciughe
mezzo litro di latte intero
farina bianca
50 g grana grattugiato
un ciuffo di prezzemolo tritato
sale e pepe
Preparazione. Lo stoccafisso ammollato deve essere deliscato, privato della pelle (operazione sorprendentemente semplice) e ridotto a pezzi non grandi.
A parte, in un tegame si prepara un soffritto con la cipolla tagliata fine, un bicchiere d'olio, le acciughe dissalate e private della lisca. Spegnere il fuoco quando la cipolla è ben appassita. Unire il prezzemolo.

Infarinare i pezzi di stoccafisso. In una pentola di coccio capiente versare uno strato di soffritto. Stendere uno strato di stoccafisso. Poi ancora soffritto, e così via. Aggiungere sale e pepe e il latte.
Aggiungere l'olio fino a ricoprire tutto (se vi devo dire il vero ho usato 'solo' mezzo litro d'olio e ho abbondato di latte). Il grana non l'ho messo perché l'idea mi ripugnava.

Cottura lenta, a fuoco praticamente spento per 4-5 ore (l'ideale se esci dall'ufficio alle 20)

Appena iniziata la cottura arriva Amedeo Bolinari, primo ospite della serata. Al suo ingresso commenta lo stato di avanzamento della cottura con una variante del suo mantra ('che è stu coso, che fieto'). La variante per l'occasione (visto che sapeva già di cosa si trattava): che fieto, pare un latranario'. Ora, non so se pecco di un eccesso di sensibilità ma il commento non rientra nella top ten delle frasi con cui amo farmi blandire mentre sto cucinando.


Ho accompagnato il baccalà con polenta bianca, che nel profondo nord est in tempi remoti accompagnava il desinare nei di' di festa (la gialla meno pregiata durante la settimana).

Da un esame comparativo devo dire che forse preferisco la release numero due (baccala' salato) alla numero tre (stoccafisso).

I filologi non me ne vogliano.

ViPeron

5 maggio 2010

Dalle parti di Torre Annunziata

Uscita Torre Annunziata Sud?  Nord?
Il riferimento è il centro della città. Ci avviciniamo. Moto browniano di motociclette.
A destra, a sinistra, a zig zag, sotto, sopra. manco avendoci gli occhi di una mosca.
Verso il centro il reticolo delle via si fa più regolare. Una moto nervosa ci tallona, sembra voler
passare, poi rientra, poi riguadagna la mezzeria.
All'incrocio abbandona i propositi bellicosi e si blocca.
Setaro? Più avanti.
All'isolato successivo, stessa storia. Noi incerti, quale dedalo imboccare. Nel dubbio
sempre avanti. Moto rombante dai nervi tesi al seguito. Fino all'isolato successivo.
Al terzo passaggio della staffetta bi-ruote ci fermiamo. Il terzo centauro si ferma.
Il terzo centauro si informa sui nostri fini ultimi.
Setaro? Fuori zona, tornare indietro con impacciata inversione a U.
Il terzo centauro commenta col quarto centauro (ormai solo in potenza) fermo sulla strada
'nn a sape porta proprio 'a machina'. La diagnosi come ignominia si abbatte sulle nostre teste,
e ci priva dell'opportunità di un supplemento di interesse.
Dopo iniziale stupore (memore della romantica signora inglese) per il servizio di accoglienza
organizzato dalla pro loco (molto pittoresco) siamo illuminati sulla via di Damasco.
Non di accoglienza ma di scorta si tratta. Sulla 'pro loco' ci avevamo azzeccato, pero' ....
Ci siamo avventurati in una zona 'militarmente presidiata' mettendo in scena qualche pagina di Saviano.
Deciso ... il quartiere ci piace poco e si prosegue come nell'ambientazione silenziosamente
attonita e sgomenta di un conflitto atomico..... e la qualità urbanistica suggerisce
che siamo già al "the day after" ....
La luce ... una indicazione per gli scavi di Oplontis, sontuosa residenza patrizia  romana.
Talora, per trovare qualche testimonianza di civiltà sembra che l'unica possibilità sia uno scavo archeologico.
In uno degli edifici sopravissuti al conflitto atomico ha sede la ditta Setaro.
Setaro è La Pasta.
In verità posso testimoniare almeno due scuole di pesiero dominanti: Pasta Setaro e Pasta Faella di Gragnano.
Come con Coppi e Bartali, la Lollo e la Loren.
E soprattutto Tertium non datur!
Dove mi porta il cuore già s'e' capito.
All'interno della ditta si cammina su un tappeto di farina di semola di grano duro, tra sacchi di pasta mista e seconde scelte.
Per accedere alla sancta sanctorum. Paccheri e mezzi paccheri, ziti, pene lisce e rigate, farfalle, spaghetti e tagliatelle, linguine e buchatini in confezioni troppo studiatamente vintage per non lasciar secchi.
I freni inibitori perdono l'olio. E' assalto isterico agli scaffali.


Alla conta, trenta chilogrammi di pasta.


Ultimo passo, la transazione economica.
E' officiata in antro da un vegliardo che incute religioso rispetto. Secco come un abitatore della cripta dei cappuccini. Scrive su un foglio di carta i numeri. In colonna. Tira una riga volitiva. Le ultime cifre evocano il verdetto. Inappellabile come Minosse. Molto più chiaro pero', va riconosciuto, del responso della sibilla cumana. In contanti.


Siamo al rientro dalla sbornia. Trenta chilogrammi di pasta. Forse è troppa.
Seconda avvisaglia. Trenta chili issati sulle rampe di piperno (3 piani, 6 metri per piano).
Terza avvisaglia. Alla richiesta di ospitalità la dispensa risponde niet!
Si squarcia il velo di maia...... farà le farfalle!


Me ne devo liberare!

(ViPeron)
PS. Se frequentate qualche negozio di alimentari tipo franchising Bulgari, potrete trovarla credo in tutt'Italia. L'ho vista anche a Cividale del Friuli, sul confine sloveno.

28 aprile 2010

essere amedeo bolinari



chapter one: LE VOCI.

Una ossessione.

Vado a letto sempre più tardi del necessario, poi mi sveglio stanco e mi dico: da stanotte a letto non più tardi delle undici!
E' una domenica qualunque. Una di quelle domeniche da principio di mal di testa che poi mi dura tutta la giornata.
Non ci ho capito molto ma devo aver fatto strani sogni. Di uno di questi sogni mi resta il riverbero di un nebbioso ricordo: una folla! Una folla crescente ad ogni angolo, mi seguiva ripetendo ossessivamente il mio nome, come in una litania. Quando mi voltavo, notavo che le persone alle mie spalle avevano uno sguardo fisso, ottuso.
Uno sguardo ottuso ed annebbiato come quello di un pesce scongelato che ti guarda, pancia all'aria, da una tinozza.

chapter two: SOGNO O REALTA'.

Una ossessione, in quale altro modo potrei definirla.

Una domenica qualsiasi, una di quelle in cui apri tutti i balconi di casa, per far circolare l'aria e far entrare il sole.
Sul divano ascolto per un po' il silenzio ..............
Che si trasforma presto in un fischio _._._._
Intervallato dal crepitio dei muri ._\._\._\
muri che si stiracchiano al sole dopo un inverno di pioggia senza fine.
Niente di più assordante del silenzio!
Seduto sul divano mi guardo le punte dei piedi tiro un sospiro e mi alzo.
Avrò pure un buon motivo per uscire!
Un prelievo al bancomat, ad esempio... oppure un giornale, che non leggerò,
Faccio una doccia ed esco.
Per strada mi capita, come al solito di osservare tutto e trattenere niente. La mia attenzione si perde in una infinità di inutili rivoli: le carte a terra sono ancora tutte lì ,al loro posto, sopra e sotto il bordo del marciapiede, lacerate e decomposte dalle auto in sosta eterna; il traffico, pure è lì dove deve stare, ovvero su entrambi i sensi di marcia; i motorini, pure loro non mancano, eccoli, anche loro su entrambi i sensi di marcia e talvolta pure sui marciapiedi, alla loro guide le foche, scaltre nel caos ma inabili all'uso dei freni anche inibitori. 
Ad un tratto avviene qualcosa che cambia volto alla mia domenica qualunque: una frenata! Una frenata stridente ed ecco che, succede proprio come nel sogno di questa notte, un brivido parte al di sotto del coccige e mi arriva alla nuca. Non ho dubbi è proprio il mio nome ad essere evocato a gran voce... risuona, resta a lungo a mezz'aria una voce  grida: "AAAmeeedeeeo Booolinaaarrr"

Non riesco a voltarmi. Ho paura! temo che la folla, cominci a seguirmi. Quel grido disumano risuona come un richiamo, un grido di battaglia. Cammino diritto senza sosta, percorro strade senza metà, svolto angoli senza ragione e non oso voltarmi. Comincio ad avere coscienza del fatto che il mio nome l'ho sentito tante volte urlato o pronunicato sommessamente per le strade di questa città, a volte addirittura con una declinazione al femminile AAAmedeeeaaa Bolinaaaraaa ..... spesso anche mamme e sorelle ho sentito definirle delle Bolinare. Sbagliando evidentemente le vocali del mio cognome. Come un automa sono arrivato al mercato del pesce, qui tinozze di alici mi guardano con lo stesso sguardo della folla del mio incubo, ad un tratto una voce garrula alle mie spalle dice "dotteo i buleit deoj alaisc" [il pescatore si esprime nel dialetto di Pozzuoli. n.d.r.] 

chapter trhee: IL LAVORO SPORCO

Una domenica qualsiasi, una di quelle in cui apri tutti i balconi di casa, per far circolare l'aria e far entrare il sole.
Sul divano ascolto per un po' il silenzio ..............
Che si trasforma presto in un fischio _._._._
Intervallato dal crepitio dei muri ._\._\._\

Comincio col decapitare le alici e liberarle delle loro putride interiora


Una lama ed altre ovvie armi per un delitto ... le solite quelle di base: olio, aglio, cipollotto


lo sfrigolio dell'olio attira una decina di alici, 3 pomodori, un po' di peperoncini verdi ed un ciuffo  di timo


i pomodori seguono la sorte delle alici e vengono svogliatamente fatti a pezzettoni mentre i peperoncini seviziati a rondelle.
Nell'olio bollente finiscono, uno dietro l'altro, il cipollotto, l'aglio... dopo un po' i peperoni e per finire i pomodori col timo. Non resistono per più di dieci minuti, ma, poco prima e senza pietà, si tuffano le alici o quel che ne resta. Tutto questo si consuma mentre a poca distanza, in acqua e sale, perisce la pasta, ovviamente di Gragnano




un mazzetto di basilico pone fine al martirio

13 aprile 2010

Frittelle d'acacia

Per cominciare m'è venuta alla memoria (oramai fatto straordinario) una poesia di Montale.

"Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere...."

Non essendo cuoco laureato anch'io vi invito ad avviarvi per fossi erbosi.  E non solo per immagini.
I fossi erbosi sono infestati da alberi d'acacia (credo che si chiami robinia in verità) che fioriscono generosamente (copiosamente direbbe Amedeo Bolinari) tra aprile e maggio. Il fiore è un grappolo bianco,
dal profumo dolce, intenso ed insistente.



I grappoli bianchi sono lo scheletro della frittella. Per la loro raccolta dovreste andar per fossi.
Mi sentirei di scosigliarvi la vendemmia presso un'isola di sosta della tangenziale o nella prossimità di una delle tante e ricche discariche abusive campane (lo dico almeno per quelli di voi che non cercano le 'contaminazioni' gastronomiche a tutti i costi).

I grappoli non vanno lavati per mentenere integra la loro fragranza. La loro morte è per affogamento in una pastella dolce fatta con latte, uova, poco zucchero, un pizzico di sale e poca farina.
Per le dosi rimando alla categoria metafisca del 'vi regolate' già teorizzata da zia Mariuccia.  L' impasto non vuol essere ne' troppo liquido ne' troppo denso. Sconsiglio l'aggiunta di aromi altri per non offuscare la fragranza del fiore.



Ciascun grappolo impastellato (per avere una frittella meno anoressica ci si può servire di un cucchiaio per raccogliere  piu' pastella insieme al fiore) verrà fritto in olio di semi (arachide) avendo l'accortezza di far dorare la frittella senza carbonizzarla.

Le frittelle vanno passte sulla carta assorbente e incipriate di zucchero a velo.



E' un semplice dolce che può creare sorprendenti effetti 'addictive'. In un tempo di globalizzazione imperante, per poterlo preparare, dovrete aspettare l'unica settimana all'anno in cui le robinie fioriscono. La vecchia
cara amica Ema (condivisa con la Povera pazza) dopo averle assaggiate una prima volta maturò una morbosa dipendenza che la costrinse, in attesa della nuova fioritura, a sgranare il lento susseguirsi dei giorni come un interminabile rosario. (ViPeron)