STORIE DI QUEL CHE MI PARE. E DI CUCINA, SE CAPITA.
"Ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo."
(M. Proust)
La curiosità mi mangia viva. Mi guardo attorno avidamente, annuso, scavo, sperimento, leggo. Non sono mai sazia di novità. E' molto difficile che ripeta una ricetta due volte, che rilegga un libro o che riveda un film. Capita, ma devo davvero averli amati moltissimo. Altrimenti cerco novità, sempre. Una delle mie angosce è non aver tempo per scoprire provare leggere vedere tutto ciò che di interessante e bello c'è al mondo. L'altra angoscia, la più importante, è la consapevolezza di quanto poco trattengo di ciò che imparo. Ma non c'è rimedio, dunque non mi voglio intristire oltre misura.
Questa lunga e sconclusionata premessa per dire che mi sono imbattuta due giorni fa in questi dolcini, da Cannelle et Vanille, e non ho avuto pace fino a che non li ho provati.
La ricetta la trovate da lei, in inglese. Io ho solo usato il burro (20 g) invece dell'olio di cocco e le barbabietole precotte che quelle fresche non le ho mai trovate. Mi ci son voluti circa 30 minuti di cottura.
Volete un giudizio? Non sono male ma non mi ci butterei per terra, ecco. Forse usando una farina di frumento e latte normale avrebbero un gusto più domestico. Mi sa che li proverò anche così e vi dirò come son venuti.
Se però volete un dolcino senza-senza-senza questi hanno il loro perchè e non sono neppure troppo punitivi.
A presto con nuove esilaranti avventure e esperimenti squinternati.
Ogni tanto anche su questi schermi si pasteggia. Non molto spesso, lo confesso.
Dei miei natali risicoli si è già scritto più e più volte, ma per un pranzo festoso e non impegnativo la pasta si batte difficilmente.
Pensavo, a dire il vero, solo a una crema di cicerchie con le cime (di rapa), ma poi ci ho visto bene anche due pennette. Tutti regali dei miei amici camperisti Giada e Marco, che girano l'Italia e si caricano di derrate che noi, volatori con bagaglio a mano, assaggiamo lì e poi rimpiangiamo.
Per tre porzioni abbondanti:
200 gr di cicerchie
180 gr di pasta corta
peperoncino
aglio
olio d'oliva
600 gr di cime di rapa, mondate
sale pepe
Questo post era nel mirino da un pò. La ricetta viene dalle donne di Bait al Karama la casa della dignità di cui ho già parlato qui. La scuola di cucina nella città vecchia di Nablus continua la sua crescita e io continuo ad accarezzare il sogno di andarci, prima o poi. La raccolta fondi su Eppela , pure lei continua e posso garantire che le signore non si offenderanno se qualcuno si sentisse di partecipare con un soldino.
Ma torniamo a noi e alla nostra ricetta.
Di quanto invidio le piastrelle della loro cucina parlerò un'altra volta, eh?!
Un piatto unico libanese e catafottuto (makloubet) .
Per otto commensali:
1 kg di spezzatino di manzo, magro
1 grossa cipolla pelata
3-4 cucchiai di olio d'oliva
2 cucchiaini di sale e 1 di pepe
1 cucchiaino di peperoncino (più o meno a seconda dei gusti)
una punta di cucchiaino di allspice (pepe di Giamaica)
1 bastoncino di cannella o un cucchiaino di cannella in polvere
1 cavolfiore a cimette
olio d'oliva per saltare la verdura
2 tazze di riso Basmati
1 noce di burro o burro chiarificato (samneh o ghee)
3 tazze di acqua calda
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In una grossa padella rosolare la carne e la cipolla tritata in un filo d'olio. Aggiungere il sale, le spezie e tanta acqua quanta ne serve per coprire completamente la carne. Portare a bollore e poi lasciare sobbollire, coperto, per un'ora o fino a quando la carne non sia tenera. Avendo fretta (come me) compiere tutte le operazioni in una pentola a pressione e cuocere per trenta minuti dal fischio.
Mentre la carne cuoce, saltare il cavolfiore in olio d'oliva. Io non l'ho propriamente fritto ma ho preferito colorirlo, salarlo e poi lasciarlo cuocere coperto per una decina di minuti in modo che l'umidità ammorbidisse la verdura lasciandola però croccante.
Lavare il riso sotto l'acqua corrente e scolarlo. Sciogliere il burro in una capace casseruola. Aggiungere il riso, mescolando per far assorbire bene il condimento. Prelevare metà del riso e tenerlo da parte.
Livellare bene il riso con un cucchiao. Coprire con i pezzi di carne e metà del cavolfiore. Fare un secondo strato di riso, sempre livellando e finire con la restante parte di cavolfiore.
Bagnare con tre tazze di liquido: tutto il liquido di cottura della carne e tanta acqua quanta ne manca alle tre tazze.
Portare a ebollizione su fiamma medio -alta, coperto. Abbassare la fiamma e lasciare assorbire tutto il liquido. Con un riso Basmati basteranno pochi minuti.
A questo punto catafottere il contenuto in un grosso vassoio (come se si dovesse girare una frittata).
Servire con yogurt o labneh e insalata fresca.
A me pareva ci stesse bene anche una spruzzata di limone, on top. Ma è una licenza poetica, so to say.
(PoveraPazza)
E anche quest'anno ci siamo illuminati di meno. Ci vuol fegato a fare una cena al lume di candela di venerdì diciassette ma noi, per un pelo non tredici a tavola, con estremo sprezzo del pericolo, ci siamo riusciti.
Buio era buio, le pietanze dovevano essere a chilometri zero (ma io l'ho saputo solo dopo) e cucinate con sistemi a basso impatto ambientale, i piatti son stati lavati a mano. Anche la partitina di burraco finale si è potuta solo immaginare.
Bello e corretto e motivante, come sempre.
Io ho portato un'insalata un pò fuori contesto : il suo papà è Yotam Ottolenghi, dunque è esotica per forza. Cavolo e frutta, sciroppo e noci caramellate con la paletta di Coggiola ci stava come i cavoli a merenda. Fortuna che avevo una lenticchia di riserva.
Il buio era fitto: anche l'insalata la potete immaginare (o trovare nel magnifico Plenty di Ottolenghi)
Le rape han sempre goduto di cattiva stampa. Considerate un ortaggio scipito e insulso (testa di rapa, non si può cavar sangue da una rapa, dura come una rapa) a me, invece, son sempre piaciute.
Fin da bambina, confesso, soprattutto nella versione un pò bruciaticcia della mamma (mai capito se volutamente bruciaticcia).
So per certo che molte care amiche, persone degnissime peraltro, non le hanno mai neppure comprate.
A queste latitudini, d'inverno, è impossibile non imbattersi in una rapa. Si raccolgono fino ai primi geli, costano poco e si prestano a matrimoni con carni di porco arrostite. In Piemonte uno dei piatti nazionali è rape e salsiccia, in Friuli brovada (rape fermentate) e muset (cotechino).
A Identità Golose ne hanno fatto un tè, poi gelificato (Crippa) e ricavato lunghi nastri (Puglisi) con una macchinetta che mi ha provocato una concupiscenza che neppure George Clooney.
Per seguire la moda del momento (e per vuotare il frigo) mi sono preparata una crema di rapa e sedano rapa, ad accompagnare, in luogo del porco d'ordinanza, un trancetto di pescatrice al sesamo.
Una robetta veloce veloce:
4 piccole rape (bianche, che quelle rosse son barbabietole)
1 piccolo sedano rapa
un mazzetto di basilico
sale- olio d'oliva - brodo vegetale
Sbucciare e lavare bene rape e sedano rapa, poi tagliare a pezzi regolari e non troppo grossi. Disporre le verdure in una teglia, cercando di non sovrapporle troppo. Salare leggermente e irrorare con poco olio d'oliva. Cuocere in forno a 180° per 40 minuti.
Negli ultimi minuti passare sotto il grill per colorirle ulteriormente.
Trasferire le verdure ormai cotte al dente in una casseruola, coprirle a filo di brodo vegetale e lasciar cuocere 10 minuti dalla ripresa del bollore.
Passare al frullatore ad immersione insieme al mazzetto di basilico. Aggiustare di sale e, volendo, pepe, e lasciare da parte.
Servire con un trancio di pescatrice passato al forno per 15 minuti, irrorato con qualche cucchiaio d'acqua in cui sia stato disciolto mezzo cucchiaino di curry.
Servire sulla crema, cosparso di sesamo tostato in forno.
Le rape vanno rivalutate. Sono dolcissime, deliziose e sopperiscono al loro scarso apporto calorico con l'umile disponibilità anche nel lungo inveno artico.
Mi son montata la testa con le renne mediterranee, sappiatelo.
(PoveraPazza)
E anche quest'anno abbiamo dato. Identità Golose ci ha risucchiate, frullate, amalgamate, omogeneizzate e restituite al mondo uguali ma diverse. Uso il plurale in modo forse ingiustificato.
Dovrei dire: mi ha risucchiata. E' così che ci si sente nei primi istanti, quaderno-munite e occhialetto lucidato, pronte ad abbeverarsi alla Sacra Fonte della Superiore Creatività.
Una delle strategie di sopravvivenza possibili è sgolarsi un mojito alla mela alle due del pomeriggio e passare il resto della giornata avvolte da una gioiosa nebbia alcolica.
Se si è astemi o si vuol portare a casa una sportina di sensazioni, stimoli, critiche, foto, strette di mano, appunti, chiacchiere, l'unica via è scavarsi una nicchia.
Individuare un percorso, un tema, un ingrediente, uno chef - che ne so, magari ci sono gli stalker professionisti anche fra i foodies - e non deviare fino alla fine dello spettacolo.
Pura antropologia, lo so. Leggo i miei comportamenti a posteriori, nulla era stato deciso prima, il caso regna nei miei gesti, di solito.
In una domenica mattina polare mi presento all'appuntamento con l'Alta Cucina per la seconda volta. Persa l'innocenza del neofita cerco la rotta.
Mi interessa da sempre la cucina naturale. L'unico programma serio che avevo fatto era : Identità Naturali.
Pietro Leeman, chef del Joia di Milano (unico ristorante vegetariano stellato, in Italia) ha aperto le danze.
Lo conoscevo già, avevo letto alcune cose sue ma non immaginavo fosse quasi mistico. Non scherzo. Una coerenza invidiabile e convinzioni fortissime. Antroposofia steineriana, spiritualità zen e serietà svizzera ne fanno un personaggio unico.
Tratta i vegetali in modo sorprendente e spesso il risultato è spiazzante.
Fatto sta che il suo cavolo croccante era davvero buono.
Enrico Crippa, già conosciuto e amato - polemico con la svolta "nordica" della cucina - e Christian Puglisi - che della svolta nordica è uno dei protagonisti, sono stati altri due interventi interessanti. Come taglia le rape lui, poi, nessuno.
La sostenibilità, insieme al rispetto dei produttori (spesso piccoli o piccolissimi), alla stagionalità e al controllo delle materie prime sono i temi che ho sentito di più.
E poi l'umanità.
Ragazzi, la compagnia di giro dei soliti noti l'ho evitata quasi del tutto.
Sperimentano molto ma non cucinano più. Ci vuole l'alta moda e il pret à porter ne sono consapevole, ma rimescoliamo un poco le carte.
Di cibo si tratta, in fondo. E il cibo è un mezzo di sopravvivenza prima, poi una fonte di piacere e espressione, poi un affare.
Se il cibo è il fine, è sterile.
Come sterile è ogni virtuosismo se non ha cuore.
Allora : più interessanti le jam sessions (Uliassi e Cedroni su tutti) degli assolo autocelebrativi.
O il cibo di strada trattato da Enzo Coccia come un romanzo storico, grazie al quale alle undici eravamo nutrite e fragranti di olio extravergine come la migliore pizza fritta.
mano amica
Meglio Identità Donna.
Donne creative ("la creatività nelle donne è un atto naturale"), sperimentatrici, coraggiose, ma allegre e umane. Donne che restano cuoche, che cucinano per accudire, per dar piacere.
Dite che mi sono immedesimata troppo?
Eh, magari mi fosse venuto in mente di farmi travolgere dal panino della mia amata Viviana Varese (tifo da stadio per lei, mancava solo la vuvuzela): grano arso e sale, scrigno che racchiude una culla di foglie di limone con un cuore di ombrina. Stavo per spingermi, con un lirismo carpiato che neanche Erri De Luca, a leggerci una metafora del grembo materno. Ma vabbè.
Sandra
Dura e pura, PoveraPazza? Anche i duri ballano, e anche PP si è recata in pellegrinaggio all'altare druidico di Rezdepi, padre macedone e madre danese, chef del Noma (nordisk mad = cibo nordico), miglior ristorante al mondo nel 2010 e 2011.
Renè dei boschi pare un elfo simpatico e sommamente visionario, che raccoglie bacche, muschi, licheni, gemme di pino, alghe e li manipola ("please, remember that everything is cured, pickled, salted, aged") per creare piatti stupefacenti in cui elementi vegetali, spesso selvatici, si fondono ad elementi animali più "domestici" (se un'ostrica di 11 anni si può considerare domestica).
Non si riesce ad immaginare che sapore possano avere,troppo alieni.
Stimolano la curiosità della renna mediterranea che alberga in noi. Loro ci sono andati, ne hanno scritto (bene) e si sono guadagnati la mia somma invidia.
Niko Romito è l'elfo dei boschi nostrano che piace per la sua autentica timidezza e il pudore montanaro che non lo ha (ancora) reso un animale da palcoscenico.
Per lui parlano i video che mostra. L'anno scorso ci aveva lasciati a bocca aperta, ma anche quest'anno, lo zen della carota assoluta (una carota elevata alla massima caroticità) con olive e pane, vale la pena di essere visto.
Certo si potrebbe parlare della palla di seitan soffiato di Crac ..(pardon, Baronetto), dell'Alajmo in ritardo, di Aimo-d, del caravanserraglio che c'era fuori dalle sale conferenze. Ma non si può dir tutto.
Aspettate, e un'altra ne avrete (come le fiabe sonore della mia infanzia): nel mare di articoli sull'argomento troverete pane per i vostri denti.
(PoveraPazza)
Mi piace cominciare questo post, il terzo e forse ultimo, di sperimentazione franco-piemontese, così:
Vestiario (da "Gente sul ponte")
Ti togli, ci togliamo, vi togliete
cappotti, giacche, gilè, camicette
di lana, di cotone, di terital,
gonne, calzoni, calze, biamcheria,
posando, appendendo, gettando su
schienali di sedie, ante di paraventi;
per adesso, dice il medico, nulla di serio
si rivesta, riposi, faccia un viaggio,
prenda nel caso, dopo pranzo, la sera,
torni fra tre mesi, sei, un anno,
vedi, e tu pensavi, e noi temevamo,
e voi supponevate, e lui sospettava;
è già ora di allacciare con mani ancora tremanti
stringhe, automatici, cerniere, fibbie,
cinture, bottoni, cravatte, colletti
e da maniche, borsette, tasche, tirar fuori
-sgualcita, a pois, a righe, a fiori, a scacchi- la sciarpa
riutilizzabile per protratta scadenza.
(Wislawa Szymborska)
Niente più reading affollati come concerti rock. Torneremo a leggere, e sorridere, da soli.